di Eugenio D’Auria*

Quanto sta accadendo nel corso delle trattative per la formazione del nuovo governo evidenzia ancora una volta la priorità attribuita dalla maggior parte delle forze politiche agli equilibri interni rispetto alle tematiche internazionali.

La crisi siriana ha contribuito a sottolineare tale aspetto, dimostrando impietosamente la superficialità di alcune analisi e l’assenza di programmi costruiti in base a linee guida e parametri di riferimento consolidati. D’altra parte tali elementi erano già emersi nel corso della campagna elettorale, durante la quale le tematiche di politica estera o avevano trovato poco spazio o erano state del tutto trascurate.

Proprio in un periodo in cui l’Italia potrebbe ritrovare spazi di manovra più ampi su uno scenario internazionale in continua evoluzione, ci ritroviamo invece ad assistere ad accuse e scambi basati su calcoli di breve respiro anziché a iniziative capaci di ben individuare una credibile posizione del nostro Paese in ambito internazionale. Non si tratta di immaginare scenari nei quali le nostre posizioni rappresentino punti di riferimento per i nostri partner europei o addirittura transatlantici quanto (più modestamente e realisticamente) fissare alcuni punti entro i quali far muovere la nostra azione diplomatica.

In Germania è stata appena avviata una riforma dell’Auswertiges amt (il ministero degli Esteri tedesco) che ne ha profondamente mutato le tradizionali strutture e rafforzato gli strumenti politici e finanziari, per consentire alla nuova compagine governativa di realizzare gli obiettivi fissati nell’intesa CduCsu/Spd; in Francia il presidente Emmanuel Macron ha annunciato e cominciato ad attuare una serie di iniziative mirate a riportare Parigi in primo piano soprattutto in Africa e Medio Oriente. Lo stesso Regno Unito – pur alle prese con la Brexit, o forse proprio per ovviare ai problemi posti da essa – mostra un dinamismo diplomatico di inusitata ampiezza. Per non parlare di quanto si sta muovendo in ambito Unione europea, con quasi tutti i membri impegnati a formare intese e individuare alleanze in vista delle prossime scadenze comunitarie – a cominciare dal vertice di capi di Stato e di  governo di fine giugno che vedrà all’ordine del giorno questioni che avranno importanti riflessi per gli equilibri comunitari negli anni a venire.

Noi assistiamo invece a scambi di scarso rilievo strategico che molto devono a calcoli di convenienza di breve periodo, per di più ispirati da tatticismi che strizzano l’occhio a particolari sensibilità di alcuni settori della nostra opinione pubblica più che ad un disegno organico di politica estera. Di qui i contatti in ordine sparso che i leader dei partiti vincitori delle elezioni dello scorso marzo hanno avuto in occasione della crisi siriana per riprendere (impropriamente) la questione delle sanzioni alla Russia con esponenti governativi di altri Paesi; o, peggio, le contraddittorie e superficiali dichiarazioni formulate sulla crisi siriana e sul quadro delle alleanze internazionali.

D’altra parte la lettura dei punti di politica estera inseriti nei programmi dei partiti non lasciava intravvedere nulla di particolarmente significativo, se non la generica propensione ad affermare l’esigenza di introdurre importanti riforme in ambito Nazioni unite, Unione europea o Nato senza precisarne il contenuto e individuare i partner eventualmente disponibili a sviluppare le iniziative necessarie a far approvare tali riforme. Quanto accaduto poi con i contatti avuti con l’ungherese Viktor Orban o alcune dichiarazioni sulle sanzioni alla Russia formulate nel corso della crisi siriana, non ha certo contribuito a rafforzare la nostra posizione internazionale.

La strada da percorrere rimane quindi lunga e impervia, se si vogliono conseguire obiettivi duraturi e impostare coerenti azioni nella prospettiva dei difficili momenti che dovremo affrontare su tutti i fronti di uno scenario internazionale in continua evoluzione. Tale scenario è sottoposto a improvvise accelerazioni e imprevedibili cambiamenti da un’amministrazione statunitense alla ricerca del nuovo ruolo che il presidente Donald Trump sembrerebbe intenzionato ad attribuire a Washington.

Le consultazioni per la formazione del nuovo governo potrebbero rappresentare un’utile occasione per un confronto approfondito su quanto vogliamo ottenere in ambito europeo, sulla stabilizzazione dell’area mediterranea e sul nuovo ruolo da svolgere in Africa, in particolare quella saheliana. Le recenti esperienze quale membro non permanente del consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite e quale presidente di turno dell’Osce potrebbero essere degli utili e importanti punti di riferimento intorno ai quali sviluppare iniziative concrete e costruire alleanze non temporanee. A condizione, peraltro, di abbandonare posizioni astrattamente teoriche e di essere pronti a sfidare l’impopolarità su alcune decisioni prioritarie per la nostra politica estera.

Si tratta in definitiva di spiegare ad alcuni settori e gruppi di pressione che l’interesse generale e di lungo periodo della nostra posizione in campo internazionale impone in alcuni casi e periodi delle scelte che comportano sacrifici e compromessi. Quanto prima sarà avviata tale opera di chiarificazione tanto maggiori saranno i benefici per il Paese.

*Già ambasciatore in Arabia Saudita

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