di Eugenio D’Auria*

Nella prospettiva delle elezioni, l’attenzione degli organi di informazione, e quindi dell’opinione pubblica, si è concentrata sulle promesse elettorali dei partiti e sulla disponibilità di fondi per la loro attuazione. Uno spazio decisamente minore, quasi nullo, è stata invece dedicato alle tematiche di politica estera, ad eccezione di quelle collegate alle questioni delle risorse necessarie per l’immigrazione e della partecipazione all’Unione Europea.

I due principali think tank di politica estera (IAI e ISPI) hanno organizzato degli incontri per approfondire i programmi dei partiti in tema di relazioni internazionali, senza peraltro ottenere un risalto mediatico adeguato. Proprio in un periodo in cui occorrerebbe un salto di qualità nella nostra posizione nell’ambito del sistema delle organizzazioni internazionali è stato così ancora una volta sottolineato il nostro sostanziale disinteresse per la politica estera e l’assenza di un quadro organico di riferimento per l’azione internazionale dell’Italia. Si perpetua quindi una situazione che privilegia confronti saltuari e superficiali rispetto ad analisi più meditate e circostanziate. Anche in occasione degli eventi sopra richiamati non sono emersi elementi di particolare rilievo non potendo considerare come una grande novità l’unanime valutazione positiva per l’aumento negli stanziamenti delle risorse per la cooperazione e l’altrettanto scontata richiesta di ulteriori incrementi. Quanto poi a come e dove utilizzare tali risorse secondo priorità strategiche e geografiche non è dato sapere.

Il prossimo governo si troverà pertanto ad operare nel campo delle relazioni internazionali ancora una volta in assenza di orientamenti consolidati: c’è il rischio quindi di continuare ad assistere ai consueti balletti intorno alle nostre missioni di pace all’estero ed al nostro ruolo a Bruxelles; in quest’ultimo caso fra le derive leghiste, e non solo, ed il desiderio di inserirci autorevolmente nella rinnovata intesa franco-tedesca. Per non parlare delle mai sopite aspirazioni ad assumere posizioni di grande visibilità in ambito Onu; mentre continua a mancare una chiara risposta, a seguito di un’approfondita discussione parlamentare, alle richieste statunitensi di maggiore partecipazione al bilancio della Nato.

E’ probabile quindi che la nostra azione, a Bruxelles come a New York ma anche sugli altri scenari internazionali, continuerà a rispondere ad input saltuari più che seguire consolidate linee guida per gli interventi. Sarebbe un’ennesima occasione sprecata perché tanto in ambito europeo quanto alle Nazioni Unite ed alla Nato sono all’esame tematiche le cui soluzioni avranno effetti duraturi sugli assetti di potere di tali organismi. L’Italia, nonostante tutte le incertezze e debolezze proprie del nostro sistema, gode ancora di un certo credito per il modo in cui sta affrontando la crisi economica e quella dell’immigrazione. Paradossalmente, molti si sorprendono per le capacità di resistenza del nostro Paese, pur alle prese con distorsioni e fragilità istituzionali di lunga data.

Su questa eredità sarebbe possibile rafforzare il ruolo dell’Italia, a condizione di sciogliere i nodi che ancora intralciano la nostra azione: la partecipazione alle missioni di pace alla luce dell’art. 11 della Costituzione; l’immigrazione e la cooperazione allo sviluppo; gli obblighi verso la Nato e le Nazioni Unite; la nostra posizione a Bruxelles. Per ognuna di tali tematiche il nuovo governo dovrà mostrare la capacità di elaborare piattaforme sulle quali confrontarsi in Parlamento per ottenere un sostegno non episodico ed evitare così quel clima di instabilità ed incertezza che tanto nuoce all’Italia. Potrà così essere avviato un processo che consenta di esprimere orientamenti condivisi dalla maggioranza degli italiani per le iniziative di politica estera. Come in molti altri Paesi, rimarranno sempre delle minoranze più o meno numerose desiderose di affermare la loro opposizione a questa o quell’iniziativa ma l’esistenza di un quadro organico di riferimento approvato dal Parlamento eviterebbe il ripetersi di discussioni sempre più rituali e scarsamente incisive.

In un sistema parlamentare qual è il nostro, non vi è dubbio che il governo debba ottenere il sostegno della maggioranza a seguito di una discussione approfondita delle tematiche sul tappeto; ma vi è anche l’esigenza di salvaguardare l’operatività dell’azione del’Esecutivo nei confronti delle intese cui il Paese è vincolato. Sarebbe quindi opportuno fissare una volta per tutte i parametri cui far riferimento per decidere della nostra partecipazione a questo o quell’intervento anche per garantire ai nostri alleati la piena continuità della nostra azione.

Analogamente, a Bruxelles possiamo rendere note le nostre priorità senza attendere che tutto discenda da Berlino e Parigi, e favorendo collaborazioni rafforzate con altri Paesi – e sono molti – desiderosi di sottrarre l’Unione Europea all’egemonia franco – tedesca. Si tratta di un lungo e paziente lavoro di preparazione che non può non partire, come ben sanno quanti si sono accostati a tali tematiche (Barca, Milanesi Moavero, Gozi) da un lavoro da svolgere a casa, stimolando i diversi Dicasteri ad elaborare  documenti sui quali confrontarsi con gli altri partner per riceverne il sostegno (ed i suggerimenti) al fine di assicurare una positiva conclusione del percorso.

In definitiva si tratta di sostituire l’elaborazione all’improvvisazione perché se è vero che spesso riusciamo a risolvere i problemi con fantasia ed in nome dell’emergenza, un tale approccio non è produttivo in campo internazionale, come molti casi dovrebbero averci insegnato.

*Già ambasciatore in Arabia Saudita

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