Acea vuole tornare a prendere l’acqua dal Lago di Bracciano. O almeno avere la possibilità di farlo senza chiedere l’autorizzazione alla Regione Lazio. La multiutility capitolina ha presentato ricorso al Tribunale Superiore delle Acque per revocare la determinazione della direzione regionale Risorse Idriche contro il divieto di captazione dal bacino a nord di Roma. Il lago, su cui si affaccia il celebre castello Orsini-Odescalchi, negli ultimi anni ha fatto registrare un notevole abbassamento del suo livello, soprattutto per via della siccità e dell’evaporazione causata dal forte calore delle ultime estati. Sollecitata dalle comunità locali, la scorsa estate la Regione è stata costretta prima a bloccare e poi – al termine di una lunga trattativa con il Campidoglio – a varare una forte riduzione delle captazioni, mentre a un certo punto Acea avrebbe addirittura voluto raddoppiare l’approvvigionamento. A sua volta, infatti, la città di Roma era andata in sofferenza per via della scarsità delle piogge e dell’ampia dispersione idrica di una rete colabrodo. Superata l’emergenza agostana, il 29 dicembre scorso è arrivata la determinazione regionale che, in pratica, sospende il regime concessorio di cui gode Acea nei confronti del bacino idrico e lo trasforma “autorizzativo”. Ed è proprio questo che non va giù ai vertici di piazzale Ostiense e, probabilmente, a quelli del Campidoglio.

In una nota, Acea parla di “passaggio meramente tecnico che attiene alla titolarità delle concessioni”, un atto dunque che “non ha nulla a che vedere con la volontà di ripresa della captazione”. Insomma, nessuna “volontà”, concetto ribadito con forza a IlFattoQuotidiano.it da fonti della società quotata in borsa. Eppure la possibilità di tornare ad attingere dal lago di Bracciano, sebbene solo in caso di emergenza, è prevista anche dalla determinazione regionale appena impugnata, come sottolinea il deputato del Pd, Emiliano Minnucci, il primo a sollevare il tema. “Ma a piazzale Ostiense lo sanno o no che la determinazione regionale li obbligava a considerare Bracciano come una semplice riserva idrica – si chiede – le cose sono due: o in Acea, tra il lusco e il brusco della campagna elettorale, hanno tentato di salvaguardare i loro proventi, oppure non hanno contezza di quanto sostenuto dal provvedimento regionale”. Insomma, secondo Minnucci “il chiarimento fornito è piuttosto insignificante”. Dunque, chi controllerà il verificarsi dell’eventuale emergenza? Acea vuole avere a piena disposizione l’utilizzo di una concessione di cui gode dal lontano 1990, la Regione vuole la possibilità di autorizzare le captazioni, limitando i patti di questo contratto.

Ma quante possibilità vi sono che l’estate 2018 presenti una nuova emergenza? Analizzando esclusivamente le motivazioni tecniche – quelle meteorologiche sono difficili da prevedere – l’impressione è che si stia assistendo a una sorta di corsa contro il tempo. Da una parte e’ in atto il piano di Acea per la riduzione della dispersione idrica, azione che prevedeva la possibilità di passare dal 44% (fonte Istat) fino al 30%, tema che sta molto a cuore alla giunta guidata da Virginia Raggi. Dall’altro lato, il 2 febbraio Regione Lazio e Città Metropolitana di Roma hanno sottoscritto – finalmente – la convenzione da 7,5 milioni annui che permetterà alla capitale di attingere all’acquedotto reatino Peschiera-Le Capore: la firma di un contratto, tuttavia, è solo il preludio a dei lavori che potrebbero partire, ben che vada, in primavera. Il risultato è che almeno uno dei due progetti deve andare a buon fine prima dell’arrivo della stagione calda, altrimenti l’emergenza del 2017 potrebbe ripetersi. E il 16 aprile 2018 il Tribunale delle Acque deciderà chi dovrà gestirla, se l’Acea – e quindi il Comune di Roma – o la Regione.

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