La botta, nell’inchiesta sulla Banca Popolare di Vicenza, alla fine è arrivata. Almeno per quanto riguarda il congelamento di beni e capitali che avrebbero costituito l’indebito arricchimento dovuto all’ostacolo delle funzioni di vigilanza della Consob da parte dei vertici dell’istituto di credito veneto. I finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, su incarico della Procura della Repubblica, hanno eseguito un sequestro preventivo nei confronti della società per azioni Banca Popolare di Vicenza che si trova in “liquidazione coatta amministrativa”. L’obiettivo è quello di confiscare direttamente un importo di 106 milioni, a seguito delle accuse mosse nei confronti degli amministratori, la cui posizione è al vaglio del giudice delle indagini preliminari dopo al richiesta di rinvio a giudizio firmata dalla Procura.

È l’epilogo di una vicenda giudiziaria che si era incagliata per un conflitto sulla competenza. Un originario provvedimento di sequestro era stato disposto del gip di Vicenza il 18 maggio 2017, su richiesta della Procura. Ma poi la stessa Procura, ritenendo che la competenza dovesse essere radicata a Milano, aveva presentato ricorso. E quindi il sequestro non era stato eseguito. Tutto era passato alla Corte di Cassazione che il 30 ottobre 2017 aveva stabilito che il sequestro non era “abnorme”, così come sostenuto dalla Procura. Ma per dare il via allla caccia al tesoro dei soldi si è dovuto attendere una seconda decisione della Cassazione che il 7 dicembre scorso ha stabilito la competenza dell’autorità giudiziaria vicentina e non di quella milanese. E così che gli uomini della Finanza, agli ordini del comandante provinciale colonnello Crescenzo Sciaraffa, hanno provveduto al sequestro.

Le motivazioni? Nel corso dell’operazione di aumento di capitale compiuta nel 2014 si sarebbero consumate le attività illecite da parte di Pop.Vicenza per impedire alla Consob di scoprire tutta una serie di “operazioni baciate” nell’acquisto di azioni della banca. A finanziarle era lo stesso istituto di credito, attraverso prestiti ai clienti, facendo così lievitare il valore delle azioni, che poi – quando il giochetto venne scoperto – si sgonfiarono lasciando i risparmiatori con carta straccia in mano. Il sequestro è motivato dalla legge 231 del 2001 riguardante la responsabilità amministrativa degli enti. L’articolo 19 della legge prevede la confisca “del prezzo o del profitto del reato” nei confronti di un ente, nel momento in cui vi sia stata sentenza di condanna. Ma l’articolo 53 prevede che sia possibile eseguire il sequestro preventivo delle cose o dei beni per cui è ammessa la confisca.

Un sequestro virtuale, considerando che la banca è in liquidazione? I finanzieri hanno individuato disponibilità finanziarie sufficienti in un conto corrente acceso presso la filiale milanese di un Istituto di credito nazionale. Il conto è, per l’appunto, intestato a Pop.Vicenza e contiene la liquidità ottenuta con la vendita di asset che facevano parte del patrimonio della banca da parte dei commissari liquidatori. I 106 milioni di euro non hanno esaurito il conto, che al momento assomma a 140 milioni di euro.

Imputati nel procedimento sono l’ex presidente Gianni Zonin, l’allora consigliere di amministrazione Giuseppe Zigliotto, gli ex vicedirettori Emanuele Giustini, Andrea Piazzetta e Paolo Marin, e il dirigente Massimiliano Pellegrini. I reati ipotizzati sono ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. Il procedimento penale a carico degli ex vertici di Popolare di Vicenza in una delle udienze precedenti si è sdoppiato: quello che vede fra gli imputati l’ex presidente Gianni Zonin prosegue davanti al gup quello contro l’ex direttore generale, Samuele Sorato, la cui posizione è stata stralciata per motivi di salute, riprenderà il 20 settembre, sempre davanti al gup.

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