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Wendi Deng, 007 Usa avvertirono Jared Kushner, genero di Trump: “L’ex moglie di Murdoch è un’agente della Cina”

In particolare, il Wsj sostiene che la donna avrebbe fatto fatto pressioni sul genero e la figlia dell'attuale Presidente degli Stati Uniti perché il governo cinese potesse realizzare, a sue spese, una torre alta 25 metri nel National Arboretum di Washington, tramite cui avrebbe potuto spiare la Casa Bianca e il Congresso
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Wendi Deng, ex moglie del magnate dei media Rupert Murdoch, potrebbe essere un’agente segreto della Cina. È il sospetto dei funzionari dell’Fbi, l’intelligence americana, che all’inizio del 2017 informarono Jared Kushner, genero di Donald Trump, della possibilità che la donna d’affari potesse sfruttare la stretta amicizia con lui e la moglie Ivanka Trump per promuovere gli interessi di Pechino. A riferire i sospetti degli 007 è il Wall Street Journal, quotidiano di proprietà dello stesso Rupert Murdoch, che cita fonti vicine al dossier.

In particolare, il Wsj sostiene che Wendi Deng avrebbe fatto fatto pressioni sul genero e la figlia dell’attuale Presidente degli Stati Uniti perché il governo cinese potesse realizzare, a sue spese, un’area da 100 milioni di dollari all’interno del National Arboretum, il giardino botanico di Washington, in cui sarebbe sorta una torre di oltre 25 metri d’altezza. Struttura – sospettano gli 007 – che sarebbe servita per attività di spionaggio sia sulla Casa Bianca che su Capitol Hill, la sede del Congresso americano, entrambi in linea d’aria a meno di 8 chilometri di distanza.

Rupert Murdoch divorziò da Wendi Deng nel 2013, dopo le voci su un rapporto tra la donna e l’ex premier britannico Tony Blair, ma si dice che la donna fosse ancora molto influente nonostante il divorzio. Il quotidiano precisa anche che questo avvertimento è arrivato a Kushner un anno fa, quando ha assunto il ruolo di Consigliere del suocero Donald Trump. Da parte sua, Wendi Deng ha fatto sapere al Journal di non essere a conoscenza dei sospetti dell’Fbi su di lei e sui progetti finanziati dal governo cinese. Sulla vicenda è arrivato anche il “no comment” dell’ambasciata cinese a Washington.

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