Corteggiare e importunare hanno in comune la volontà di entrare nella sfera d’intimità dell’altro, scaturita da un desiderio di natura sessuale. Nel primo caso, si è in grado di gestire un rifiuto, nel secondo non si riesce ad accettarlo, talvolta, neanche a percepirlo, bloccando l’elaborazione necessaria a porre un limite ad  qualcosa che diventa lesivo della tranquillità di coloro a cui rivolgiamo l’attenzione. La paura del rifiuto, seppure con modalità diverse e con presupposti diversi, rischia di paralizzare o innescare dinamiche disfunzionali, sia negli uomini che nelle donne, e spesso lo fa senza guardare in faccia nessuno.

Gestire un rifiuto rimane per un uomo un ostacolo, mina il suo stesso essere tale, ha appreso che gli uomini, per essere tali, ottengono dei risultati, mentre una donna ha appreso che, per essere accettata, non (si) deve rifiutare. Permettetemi questa semplificazione, ha ovviamente le sue eccezioni. Molto clamore e molta discussione stanno nascendo dopo il caso Weinstein e quello che ne è seguito e le parole di Catherine Deneuve e delle altre firmatarie dell’appello sul giornale francese Le Monde e quello che ne sta seguendo.

Credo che, comunque la si voglia pensare, la Deneuve raccolga e faccia sua una buona parte del malessere maschile circolante, in merito a queste vicende, il che non è necessariamente un male, in quanto intercetta dei pensieri e dei sentimenti maschili reali con cui bisogna confrontarsi, senza subito delegittimarli, per quanto scomodi e in parte dettati probabilmente da un retro pensiero patriarcale.

Se è vero che l’uomo non può più riproporre certi atteggiamenti e certi comportamenti, è anche vero che non ancora appreso delle alternative valide. Se è vero che la donna non può più tollerare certi atteggiamenti e certi comportamenti, è anche vero che non sempre ha ancora la possibilità di rilevarli e denunciarli nelle modalità più opportune. Una certa confusione mista a rabbia e paura è comprensibile e inevitabile, ma non va fomentata, altrimenti riproduciamo gli stessi meccanismi che proviamo a sradicare. Esistono delle regole relazionali generali per lo più condivise, anche se non scritte, ma anche delle regole relazionali di due specifiche persone che non necessariamente coincidono con le generali.

Tutto questo non toglie nulla al fatto che non si possa più fare finta che certi soprusi non avvengano e che bisogna abbassarne, quanto più possibile, la soglia di tolleranza, affinché vengano smascherati ogni volta che vengono riproposti.

Se una cosa esiste, la si affronta, così come la violenza di genere e il sessismo esistono e vanno affrontati. La metodica deve essere la stessa per tutti, usare parametri diversi significa non aver compreso da dove nasce in origine la violenza, ossia dall’incapacità di ascoltare e dall’impossibilità di sentirsi ascoltati. Non nego di aver pensato, vedendo i vari commenti e dibattiti in giro, che, ancora una volta, per un problema degli uomini (la violenza sulle donne) sembrano essere le donne coloro che si fanno maggiori domande, ma che purtroppo arrivano talvolta anche a contrapporsi fortemente.

Il vero cambiamento nasce dal non sentire la necessità di rispondere a quel che si vive come un’aggressione, in modo aggressivo, farsi esempio di gestione della rabbia, anche quando questa legittimamente straborda. Deneuve dichiara: “Lo stupro è un crimine. Ma tentare di sedurre qualcuno in maniera insistente o maldestra non è un reato, né la galanteria è un’aggressione del maschio. Noi difendiamo la libertà di importunare, indispensabile alla libertà sessuale”.

Ecco il passaggio che lancia un messaggio sbagliato e pericoloso: “la difesa della libertà di importunare”. Importunare e corteggiare sono due cose diverse, non si può trattarle alla stessa stregua. Il tentativo, non credo intenzionale, di confonderle denota la difficoltà che abbiamo, in questo momento, di fare distinzione tra il lecito e l’illecito.

Il corteggiamento non ha bisogno del consenso, perché venga espresso un si o un no, bisogna fare la richiesta. Il permette di continuare a mostrare sempre maggiore interesse, il no non permette che questo accada e dovrebbe costituire uno stop netto. L’andare avanti con un no è molestia e non è un diritto di nessuno, parlare di libertà di importunare è indispensabile non alla libertà sessuale, ma alla legittimazione della violenza sessuale.

E se molti uomini dichiarano di non capirci più granché o che le donne dicono no, ma in realtà intendono si, rispondo che questo non giustifica comunque il riproporsi con modalità via via più insistenti e invadenti. Credo che, se due persone vogliono conoscersi e frequentarsi, questo succede e basta.  L’essere umano può essere ambiguo e anche emozionalmente confuso, gli stessi codici comportamentali sono soggetti ai tempi e agli stati emotivi che cambiano in ognuno di noi, ma nella forzatura e nell’insistenza dubito ci sia qualcosa di funzionale. Interagire con l’altro non nasce come una forma di violenza, ma come una forma di comunicazione, il violare ne è un possibile disfunzionale risultato.

 

Vignetta di Pietro Vanessi

Chiunque volesse raccontare una molestia subita, può segnalare la propria storia scrivendo a tiraccontolamia@ilfattoquotidiano.it, sarà parte del progetto di denuncia in forma anonima Ti racconto la mia, curato dai giornalisti de ilfattoquotidiano.it e giunto alla sesta puntata.

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