Da Domusnovas, vicino a Iglesias, in Sardegna, fino a Ta’if e Jeddah, in Arabia Saudita, per finire a uccidere nei territori di conflitto dello Yemen. Le bombe dell’aviazione saudita che hanno provocato più di 10mila vittime nella guerra yemenita riportano spesso lo stesso codice di fabbricazione: A4447. Produzione italiana, stabilimenti della Rwm, Domusnovas, Sardegna. Un affare, spiega l’inchiesta di prima pagina del New York Times “Bombe italiane, morti yemeniti” sul viaggio degli ordigni Mk-80 dall’isola italiana fino all’Arabia Saudita, che coinvolge gli alti membri del governo, con le immagini del primo ministro Paolo Gentiloni e del ministro della Difesa Roberta Pinotti in apertura di video, e che vale 440 milioni di euro nel solo 2016. “Tutto secondo le leggi”, aveva assicurato il capo della Difesa nel novembre del 2015. E dopo l’inchiesta del quotidiano americano lo ribadiscono fonti della Farnesina: “L’Italia osserva in maniera scrupolosa il diritto nazionale ed internazionale in materia di esportazione di armamenti”. Così non è secondo gli esperti che hanno esaminato le informazioni raccolte dal quotidiano statunitense: “Queste vendite violano le leggi italiane e internazionali sul commercio di armi”.

I giornalisti del Nyt hanno raccolto i video realizzati da Mauro Pili, deputato sardo di Unidos, e da altri attivisti che hanno individuato almeno “due dozzine di spedizioni” di armamenti dagli stabilimenti sardi verso l’Arabia Saudita. Svolgendo dei controlli incrociati con documenti di spedizione ai quali hanno avuto accesso, i reporter americani hanno scoperto che gli ordigni sono stati trasportati con dei tir dal luogo di fabbricazione fino all’aeroporto di Cagliari Elmas o al porto del capoluogo sardo. Il tutto, scortati da volanti della polizia o da mezzi dei vigili del fuoco che “solo in quelle occasioni” avevano accesso anche alle aree riservate degli scali. Prova questa del fatto che il governo era informato di queste vendite e, inoltre, ha offerto sostegno alla spedizione.

Dai vari scali, poi, le bombe vengono caricate su aerei, destinazione Ta’if, oppure su navi cargo che, passando dallo Stretto di Suez, attraccano al porto saudita di Jeddah. I riscontri fotografici dei cargo partiti dal porto di Cagliari e attraccati a quello di Jeddah e la compagnia di spedizione via mare, la saudita Bahri, hanno confermato i sospetti dei giornalisti riguardo all’uso delle bombe da parte del governo di Riyad: “Fonti hanno dichiarato al New York Times – dicono – che molte delle bombe che vengono caricate su quelle navi sono destinate alla Royal Air Force”, l’aeronautica militare saudita che bombarda lo Yemen.

Bombe Mk-80 dal peso di partenza di 250 kilogrammi fino a una tonnellata. Ordigni costruiti per essere sganciati dagli aerei da guerra contro le postazioni nemiche. Resti di questi ordigni sono stati ritrovati, però, anche su obiettivi civili distrutti dai bombardamenti di Riyad nella guerra contro i ribelli Houthi. È successo in occasione di un raid che ha colpito Tahrir Square, nella capitale Sana’a, oppure quando è stata rasa al suolo, tra le altre cose, un’abitazione nel distretto di al-Hada, dove viveva una numerosa famiglia estranea ai gruppi coinvolti nel conflitto e solo per caso scampata all’attacco. In questi e in altri casi, frammenti degli ordigni riportavano lo stesso codice di fabbricazione: A4447, stabilimento Rwm, Domusnovas, Sardegna.

Bombe italiane sui civili in Yemen, quindi. Una scoperta, quella del New York Times che integra quanto già raccontato in una lunga inchiesta de Le Iene, che smentisce le rassicurazioni del premier Gentiloni riguardo alla regolarità del commercio di armamenti con l’Arabia Saudita e, soprattutto, quelle del ministro Pinotti che aveva assicurato: “Si opera nel rispetto della legge”. “Le richieste di società italiane per ottenere licenze di esportazione di materiali d’armamento sono valutate sempre in modo rigoroso ed articolato, caso per caso, sulla base della normativa italiana, europea ed internazionale – aggiungono fonti della Farnesina all’Ansa replicando al Nyt – Le valutazione di eventuali autorizzazioni a Paesi extra Ue-Nato coinvolge previamente diversi fra ministeri ed enti italiani”.

Ma secondo Linde Bryk, dello European Center for Constitutional and Human Rights, Roma non rispetta le regole: “La legge italiana (sulla vendita di armamenti, ndr) – dichiara davanti agli obiettivi dei reporter americani – è una delle più stringenti a livello europeo e vieta la vendita a Paesi coinvolti in conflitti armati. L’Arabia Saudita e i membri della sua coalizione sono coinvolti in un conflitto armato”. Poi aggiunge: “Le leggi internazionali (l’Arms Trade Treaty, ndr) vietano la vendita di armi laddove vi siano violazioni evidenti dei diritti umani. Ad esempio, queste persone muoiono e non c’è nelle vicinanze delle loro abitazioni alcun obiettivo militare. Questo ci dice che ci sono motivi per parlare di una violazione delle leggi internazionali sui diritti umani”.

Lo scoop del Nyt, però, oltre a smascherare la responsabilità del governo italiano riguardo alla vendita di armi a Paesi coinvolti in un conflitto armato e che attuano una violazione dei diritti umani, offrendo alla Rwm le licenze e il supporto logistico e di polizia, quantifica anche il valore di questo affare tra la Sadegna e Riyad: 440 milioni di euro nel solo 2016. La Rwm fa parte del colosso tedesco Rheinmetall che nel 2016 ha aumentato i propri utili del 50%. Analizzando i dati relativi all’export della sola Rwm, i giornalisti statunitensi hanno potuto constatare che il governo italiano ha rilasciato nel 2016 all’azienda di armamenti 45 licenze di vendita, per un valore totale di 489 milioni di euro. Un’impennata clamorosa rispetto all’anno precedente, quando la stessa azienda aveva registrato esportazioni inferiori ai 50 milioni di euro. Di questi 489 milioni, ben 440 provengono dalla vendita delle stesse bombe destinate all’aviazione saudita: le Mk-80.

Twitter: @GianniRosini

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