La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’indagine sulla morte del colonnello della Finanza Omar Pace che si tolse la vita l’11 aprile del 2016 nel suo ufficio alla Dia, dove era distaccato. Avrebbe dovuto testimoniare il giorno successivo al processo in cui erano imputati l’ex ministro Claudio Scajola, accusato, insieme a Chiara Rizzo, di aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare Amedeo Matacena, condannato a 3 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Pace, ufficiale stimato e competente, tra i primi ad occuparsi degli Spada e dei clan mafiosi di Ostia, faceva parte del pool di investigatori che aveva condotto l’indagine nei confronti di Scajola, coordinato dalla procura reggina per la quale continuava a svolgere ricerche sugli assetti societari di Matacena. Ricordando il colonnello Pace all’inizio dell’udienza del 13 aprile 2016, il pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo disse che la testimonianza dell’ufficiale rappresentava un passaggio importante per l’accusa. Pace aveva eseguito materialmente il sequestro di atti e documenti in casa e nello studio di Scajola il giorno del suo arresto, l’8 maggio 2014, carte tra le quali c’era anche un fax scritto, secondo gli investigatori, dall’ex presidente libanese Amin Gemayel, coinvolto insieme ad altri personaggi italiani residenti in Libano a favorire la latitanza di Matacena – sui cui affari Pace continuava a svolgere un lavoro istruttorio. Erano state messe le mani, in buona sostanza, su un ambiente ben strutturato per offrire rifugio a persone in difficoltà con la legge e che hanno bisogno proprio di un porto franco come oggi sono gli Emirati Arabi – non per niente il deputato Pd dell’Antimafia Davide Mattiello non si lascia sfuggire occasione per ricordare l’urgenza di approvare il Trattato di cooperazione giudiziaria con quel Paese.

La morte di Pace, su cui ha indagato la Mobile della Capitale, resta fitta di interrogativi: 47 anni, una moglie e due figli, una vita serena, Omar Pace arrivò in ufficio attorno alle 6.30 del mattino, chiuse la porta del suo ufficio sparandosi con la pistola d’ordinanza. I suoi familiari non sono mai entrati in quella stanza e furono autorizzati a vedere il suo corpo solo il venerdì successivo. Il suo collega, arrivato verso le 9, trovò la porta chiusa ma potè inserire la sua chiave: la serratura è di un tipo che può chiudersi da entrambi i lati. La stanza fu ripulita, dipinta e consegnata dopo appena due giorni alle esigenze all’ufficio. Alla moglie Barbara furono restituiti, chiusi in una busta, solo l’orologio e la fede ancora sporchi di sangue, ma niente altro, tantomeno i suoi due telefonini, uno di servizio l’altro personale. Quella mattina Omar esce presto, come sempre, preoccupandosi di portare via la spazzatura: forse prima di uscire mette nella borsa della moglie quattro bigliettini di commiato, per lei, per i figli, per sua madre, per i suoceri? Oppure, si chiede ancora oggi la signora Barbara, qualcuno li mise in borsa durante la mattina? Infatti, lei si accorse di quei tristi fogli solo durante la giornata, molto dopo aver appreso della tragica notizia ed dopo esser stata accompagnata in via Nazionale, alla questura di Roma, per le procedure di prassi.

Cosa abbia indotto una persona equilibrata e molto coinvolta nella sua vita familiare e professionale al gesto estremo resta oscuro. Si dirà che il mistero avvolge spesso i casi di suicidio ma Omar Pace non svolgeva un lavoro qualsiasi. Fino ad alcuni mesi prima della sua scomparsa, guidava l’ufficio della Dia che si occupava delle analisi delle segnalazioni sospette (Sos), contribuendo in prima persona a far raggiungere  alla Direzione brillanti risultati. Non si sa perché il direttore della Direzione investigativa antimafia, Nunzio Ferla, nell’ambito di una riorganizzazione interna, decise di spostare anche il colonnello Pace che non digerì per niente quella scelta. Comprensibile che la scomparsa di Pace sia stata un affare tragico e imbarazzante per la Dia. Perché Omar Pace fosse stato pedinato da alcuni ufficiali non è chiaro: se ne accorse andando a svolgere le sue lezioni all’università di San Marino (del resto perché un ufficiale esperto come lui insegnava in quel piccolo Stato estero?). La questione è emersa anche durante l’istruttoria: ascoltati dal pm, gli agenti hanno spiegato di aver svolto il pedinamento per accertare che Pace andasse davvero presso l’Ateneo e non in altre strutture private. Insomma molti interrogativi. E ora una richiesta di archiviazione.

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