Roberto Spada era stato sovrastato dialetticamente da Daniele Piervincenzi, il giornalista di Nemo. Non aveva avuto la capacità di esprimere concetti “seri e sostenibili secondo criteri di ordinaria intelligenza” che potessero replicare alle domande incalzanti del cronista della Rai. Una “sconfitta inaccettabile” per un “capo”, nel suo territorio, sfidato e – in qualche modo – ridicolizzato da uno sconosciuto di fronte a persone che avrebbero dovuto avere timore di lui. E’ per questo motivo che avrebbe aggredito la troupe Rai in quella maniera: per riaffermare il suo “potere criminale”, sfruttando lo “stato di assoggettamento in cui versa la popolazione di quel territorio” e la “garanzia di impunità che deriva dalla loro omertà”. Un “agire delittuoso” che “rafforza” questo potere “dandone prova di esistenza ed efficacia”. Segnali inequivocabili, tipici di quel “metodo mafioso” richiamato prima dai pm Giovanni Musarò e Ilaria Calò e poi confermati dallo stesso gip. L’aggravante mafiosa è il punto cardine dell’ordinanza firmata sabato dal gip Anna Maria Fattori, la quale – pur non convalidando formalmente il fermo – ha prolungato la carcerazione per l’esponente del clan sinti che domina sul litorale romano, sul quale alla luce delle considerazioni del giudice vigono pesanti rischi di reiterazione del reato. Il prossimo passaggio sarà quello del tribunale del Riesame.

Il metodo mafioso
Secondo le denunce di Piervincenzi e del suo videomaker (anche lui malmenato) Edoardo Anselmi, ad assistere al pestaggio c’erano almeno una decina di persone residenti nella zona o clienti della palestra gestita da Spada, ma nessuno è intervenuto o ha detto una parola, anche solo per calmare l’aggressore (e il suo sodale, indicato come “guardiaspalla”. Un passaggio che non è passato inosservato al gip, il quale ha dato conto di un “contesto di omertà, interrotta solo da espressioni di approvazione per l’operato dello Spada”. Omertà tipica dei territori governati dalla criminalità organizzata. Così come l’atteggiamento, la gestualità e la “tracotanza” con cui Spada ha sferrato la testata al giornalista “nonostante la presenza di una telecamera”, il suo “notorio coinvolgimento in indagini e procedimenti di criminalità organizzata”, i suoi “rapporti di stretta parentela con esponenti della consorteria criminale locale”, il “contesto ambientale” di un “municipio già commissariato per infiltrazioni mafiose”. Tutti fattori che sono riusciti a incutere timore negli stessi Piervincenzi e Anselmi, “che infatti, nonostante l’immediata necessità di cure mediche andarono in più lontano ospedale e non presentarono querela”.

Lucida capacità criminale
Dunque Spada sarebbe in grado di intimorire le persone che “invadono” il suo territorio, ma anche di scagliarsi con la stessa “estrema brutalità” verso chiunque voglia proferire parola o metterne in discussione la leadership. Un “pericolo di reiterazione del reato” per il quale il gip ha prolungato la carcerazione di Robertino. “La gravità dei fatti – si legge nell’ordinanza – significata dalla capacità criminale di consumare così lucidamente un’aggressione nei confronti di una persona con la quale fino a pochi istanti prima si stava conversando” dimostrerebbe “una callidità dello Spada nel commetterli”. A nulla sarebbe dunque valso il “dispiacere per l’accaduto” formalizzato dall’indagato durante l’interrogatorio, giudicato a “comprensibile scopo difensivo”: secondo il giudice sarebbe attuale “il rischio di reiterazione di reati della stessa specie” nei confronti di chiunque eserciti “la libertà di critica ed entri in volontario o involontario rapporto con lo Spada”, oppure “possa contraddirlo o porlo in difficoltà”. Proprio come fatto dai giornalisti Rai.

La difesa di “Robertino”
Il giudice, insomma, ha tenuto in considerazione in minima parte le dichiarazioni rilasciate da Spada durante l’interrogatorio di garanzia a Regina Coeli. Oltre a “non riconoscersi nella brutalità delle immagini che aveva visto attraverso la rete”, Robertino si è giustificato dichiarando che quel giorno “era già esasperato dalla continua presenza di giornalisti” e di aver già detto a Piervincenzi “di non voler essere intervistato”. Spada ha raccontato poi che il giornalista Rai gli aveva proposto una scommessa, ovvero quella di confrontarsi con un suo allievo, con posta in palio proprio l’intervista, cosa che lo stesso titolare della palestra dice di aver rifiutato. La rabbia di Spada (“ci ho visto nero”) sarebbe stata invece scatenata da presunti riferimenti che Piervincenzi avrebbe “alle ragioni della separazione del fratello in quanto maltrattava la moglie, chiedendogli se anche esso si comportasse così con la propria”: affermazioni che – sulla base delle eloquenti immagine documentate dalla telecamera di Anselmi – il gip ha ritenuto inattendibili.

Articolo Precedente

Ostia, non solo gli Spada. Qui comandano politici e palazzinari romani

next
Articolo Successivo

Giovanni Falcone, il dna di una donna sui reperti della strage di Capaci: “Era parte del commando”

next