Come molti sapranno, in alcune aree del Veneto è in corso una delle emergenze ambientali e sanitarie più gravi del nostro Paese. I numeri confermano questo quadro drammatico, con oltre 350mila residenti solo nell’area più contaminata. Per questo, nei mesi scorsi la Regione Veneto ha fatto partire uno screening sanitario per 85mila persone che vivono nei comuni della “zona rossa”, quella più inquinata, con lo scopo di misurare i livelli ematici di sostanze perfluoroalchiliche (Pfas ) e verificare l’insorgenza di patologie ad essi collegate.

Spesso chi è stato escluso dallo screening ufficiale ha provveduto ad effettuare – autonomamente e a proprie spese – esami per verificare la presenza di Pfas nel sangue. È il caso, ad esempio, di molti cittadini di Montecchio Maggiore, un comune del vicentino limitrofo alla Miteni di Trissino, ovvero l’azienda ritenuta dalle autorità come la principale fonte di contaminazione.

I risultati sono preoccupanti sia per chi è incluso nel monitoraggio ufficiale, sia per chi ha effettuato in autonomia le analisi del sangue. Nei cittadini di Montecchio Maggiore, ad esempio, i livelli di acido perfluoroottanoico (Pfoa) – una sostanza del gruppo dei Pfas che l’Agenzia internazionale per la Ricerca sul cancro (Iarc) classifica come “potenzialmente cancerogena per l’uomo” – sono da 2 a 20 volte maggiori rispetto a quelli di riferimento. Ancora più preoccupanti i valori di Pfoa nei cittadini inclusi nello screening ufficiale che, nei quattordicenni, sono fino a 35-40 volte più alti del normale.

E mentre importanti dirigenti di Ussl venete dicono che l’esposizione a Pfas può essere paragonata a un eccesso di zuccheri nella dieta, cresce l’allarme nella popolazione, tant’è che la Regione Veneto ha pensato di correre ai ripari con una delibera del luglio 2017 che ha lanciato un programma di plasmaferesi o scambio plasmatico. In pratica una sorta di “lavaggio” del sangue per abbassare la concentrazione di questi inquinanti.

Ma purtroppo, in contemporanea a questa operazione di “disintossicazione” per parte della popolazione, non è stato previsto l’abbassamento dei livelli di Pfas consentiti nell’acqua potabile (tra i più alti al mondo). E non abbiamo traccia di piani per prevenire l’ulteriore immissione in ambiente di queste sostanze.

Non intervenire sui livelli di Pfas ammessi nell’acqua potabile e non prevenirne l’emissione in ambiente, significa continuare l’esposizione dei cittadini a sostanze che ovviamente continueranno ad accumularsi nel loro sangue. Proprio per questo, in molti si sentono presi in giro: dicono che è come prescrivere a chi soffre di diabete una terapia a base di insulina e contemporaneamente una dieta a base di dolci. Tra la popolazione che vive nelle aree interessate da questa forma di inquinamento delle acque, c’è anche chi ha dichiarato di non voler effettuare la plasmaferesi. Non siamo medici e non possiamo fare commenti sulla correttezza della plasmaferesi come misura di sanità pubblica, ma davvero non possiamo dare torto a chi chiede un immediato abbassamento dei limiti di Pfas.

È l’azione più concreta che la Regione Veneto potrebbe e dovrebbe immediatamente attuare per tutelare la salute, come chiediamo con una petizione nell’ambito della campagna STOP PFAS in questa Regione. Che non dovrebbe nemmeno impiegare molto tempo a individuare tutte le fonti di questo tipo di inquinamento e a promuovere produzioni più sostenibili che facciano a meno di queste sostanze.

Articolo Precedente

Puglia e Taranto dicono no alla raffineria? Total: “Ogni giorno 170 autocisterne di petrolio da Tempa Rossa fino a Roma”

next
Articolo Successivo

Tempa Rossa, perché la produzione di petrolio non è strategica per l’Italia

next