Il primo interrogativo da sciogliere è cosa ci facesse Mario Luciano Romito a 46 chilometri da casa, sei giorni dopo essere stato scarcerato, all’incrocio tra la vecchia strada provinciale che si arrampica verso San Giovanni Rotondo per poi scendere verso l’altra faccia del Gargano e la nuova “Pedegarganica”, la via più veloce per tagliare il promontorio e per questo usata dalle bande del Foggiano per i loro traffici illeciti. Doveva incontrare qualcuno il presunto capo clan di Manfredonia vicino alla vecchia stazione di San Marco in Lamis? Oppure era solo di passaggio?

Parte da qui il lavoro investigativo delle forze dell’ordine che devono sciogliere un’ingarbugliata matassa e risalire all’origine dei mandanti e degli esecutori della carneficina di San Marco, nella quale hanno perso la vita anche il cognato di Romito e due contadini innocenti, la cui sola colpa è stata trovarsi nel campo visivo del commando che ha crivellato di colpi il Maggiolone nero del presunto boss. Più di trenta i colpi esplosi dai kalashnikov e dai fucili a canne mozze caricati per l’ennesima mattanza, conclusa dando fuoco a una Ford Cougar ritrovata non lontano dal luogo del quadruplice omicidio.

Dieci le perquisizioni effettuate nella notte dai carabinieri sia nel territorio più vicino alla zona dell’agguato che in altri paesi del Gargano. Irreperibile una delle persone alle quali gli uomini dell’Arma sono andati a bussare alla porta: si tratta di un killer del clan Libergolis, la famiglia in contrasto con i Romito dal 2009, quando si scoprì che un parente di Mario Luciano era diventato confidente delle forze dell’ordine e aveva fatto arrestare diversi componenti dei “montanari”, all’epoca suoi alleati, piazzando microspie nelle stanze dove si tenevano le riunioni e partecipando persino ai posti di blocco per individuare in prima persona gli affiliati.

Ma quella dell’eterna faida Romito-Libergolis, che fece 7 morti solo a cavallo tra il 2009 e il 2010, quando tentarono due volte di ammazzare pure l’ultimo caduto in questa battaglia combattuta a suon di vendette, è solo una delle piste seguite dagli investigatori, coordinati dalla Distrettuale Antimafia di Bari. Perché c’è dell’altro e sono piste non trascurabili. Da altri potenziali attriti – tutti da appurare in quel rovo di alleanze che si saldano e si sfasciano tra Gargano e Tavoliere – riconducibili a un duplice omicidio consumato il 20 giugno scorso ad Apricena, vicino a San Marco in Lamis, o alla guerra di Vieste tra gli uomini rimasti fedeli ad Angelo Notarangelo, freddato nel gennaio 2015, e gli scissionisti che gli investigatori ritengono legati al suo ex braccio destro Marco Raduano. Perché Romito e Notarangelo hanno fatto affari insieme, sostengono gli investigatori.

La terza via è stata invece tracciata dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti: gli interessi della Società Foggiana, quella che opera tra il capoluogo e San Severo, dei clan garganici e delle famiglie di Cerignola sul business della droga proveniente dall’Albania. Qui, i balcanici, hanno trovato la porta d’ingresso per l’Europa dei fiumi di droga coltivati nell’entroterra del Paese delle aquile. E se da un lato – prospettava l’ex questore Piernicola Silvis a ilfattoquotidiano.it a giugno – ci sono evidenze investigative di una convergenza delle tre criminalità negli affari legati al traffico degli stupefacenti, dall’altro – sostiene Roberti – potrebbero essere sorti profondi attriti nella gestione dei rapporti con gli albanesi e delle tonnellate di droga che arrivano sulle coste pugliesi per poi risalire la Penisola. Chi voleva morto Mario Luciano Romito? Potenzialmente molta gente. Qualcuno è arrivato prima degli altri. I fratelli Luciani, casualmente, sapevano chi. E hanno pagato con la vita prima che i killer sparissero nel nulla. Puf. E’ accaduto decine e decine di volte a Foggia negli ultimi trent’anni. Ma questa è un’altra storia.

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