Bernarda il prossimo 14 febbraio compirà settant’anni ma finalmente sarà una maestra di ruolo. Dopo quarant’anni di precariato finalmente firmerà il suo primo contratto a tempo indeterminato. Aldo Botta, 22 anni, sarà invece il prossimo anno uno dei professori più giovani d’Italia: ha vinto il concorso a cattedra bandito l’anno scorso in Campania e insegnerà strumento musicale alle scuole superiori. Due storie che dimostrano la schizofrenia del sistema d’istruzione italiano. Se al professor Botta faccio i miei migliori auguri, alla maestra Bernarda faccio una domanda: lei si sente davvero pronta a settant’anni ad affrontare una classe di bambini di prima elementare o anche di quinta?

Non voglio mettere assolutamente in dubbio le competenze e le capacità dell’insegnante di Corleone che dopo una vita trascorsa tra una scuola e l’altra, ora corona il suo sogno ma è certa cara signora di avere ancora le stesse energie di quando ha iniziato a fare la maestra negli anni Settanta?

La stessa maestra ha dichiarato alla stampa: “Nella mia carriera ho avuto mille o duemila studenti, alcuni mi chiamavano mamma. Vorrà dire che adesso mi chiameranno nonna”.
Bernarda si è diplomata nel 1969-1070 e ha vinto il concorso nel 1985.
Aldo si è diplomato nel 2013.
La domanda è semplice: di chi hanno bisogno i nostri ragazzi e il nostro sistema d’istruzione? Di nonni?

Fare l’insegnante non significa semplicemente sapere insegnare a leggere e a scrivere ma saper essere un educatore, saper decodificare i linguaggi di un ragazzo di dieci anni, saper leggere i suoi bisogni che non sono più gli stessi di venti o trent’anni fa. I miei alunni mi parlano di Instagram, si fanno “storie” in Snapchat, leggono i libri su Wattpad. Potrebbe all’apparenza non servire conoscere i loro modi di comunicare, il loro gergo per insegnare ma non è così. Basti pensare al tema del cyberbullismo: per affrontarlo abbiamo bisogno di un esercito di docenti che sappia usare i social network e sappia fare educazione civica digitale oltre ad avere una solida formazione.

La scuola ha bisogno di uomini e donne che sanno stare tra i ragazzi; di maestri e maestre innovatori, capaci di andare oltre le schede e il quaderno, di smobilitare la lezione frontale. L’Italia è il Paese dove la percentuale dei docenti con meno di 40 anni è solo del 10%, è lo Stato con gli insegnanti “più vecchi” d’Europa. Perché affidare ad una signora settantenne un incarico a tempo indeterminato a fronte di tanti giovani che aspettano una cattedra?

Bernarda aveva diritto alla pensione dopo tutti questi anni di lavoro. Avrebbe potuto essere una risorsa preziosa per offrire alle nuove generazioni di maestri (non sempre formate in maniera adeguata negli atenei) alcuni strumenti e alcune conoscenze didattiche.
Ma questo è stato per anni il nostro sistema di reclutamento degli insegnanti: ne pagheremo le conseguenze a lungo.

Storie come quella della maestra palermitana dovrebbero essere ormai le ultime che raccontiamo ma nella scuola serve al più presto come esiste nelle aziende un responsabile delle risorse umane che sappia valutare la sua squadra, valorizzarla, aiutarla, scegliere. Non può essere il dirigente ad avere questo ruolo ma una figura all’altezza di un ruolo che richiede apposite competenze.
La scuola non è la Croce Rossa, non è nemmeno la casa di riposo. I nostri bambini non hanno bisogno di mamme, papà o nonni in classe ma di insegnanti che sappiano stare con loro.

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