«Ormai sono 7 anni che non pubblico un nuovo album e non so se lo farò mai più. È cambiato il mercato, sono cambiato io. Mi “accontento” di fare il dj. Vedere ballare la gente grazie alla mia musica è qualcosa che mi riempie di orgoglio e mi rende felice. Ora, a 53 anni, come vent’anni fa». Fatboy Slim è tornato. Se non nei negozi di musica, almeno in Italia, dove si esibirà l’8 luglio al Kappa Festival di Torino e il 9 al Just Music Festival di Roma. Lui che nel 1998 vendette più di 6 milioni di copie con l’album You’ve Come a Long Way, Baby (trainato da canzoni ancor oggi ballate sui dancefloor di tutto il mondo come Right Here, Right Now e Praise You), è ormai assurto al ruolo di leggenda della dance internazionale. «Mi capita molto spesso che dj ora molto celebri mi dicano che sono una delle ragioni per cui hanno deciso di intraprendere la stessa carriera. Ed è sempre una bella soddisfazione» ci racconta al telefono a pochi giorni dalla partenza per Torino. «So che può sembrare la solita frase fatta, ma ho un particolare rapporto con l’Italia. In certi Paesi suoni e non ti torna niente indietro, quindi ti viene quasi da pensare “Ma perché lo faccio?”, Gli italiani fanno festa, empatizzano, è come se li sentissi accanto a te, in consolle, a cercare il pezzo giusto per continuare a fare festa».

Parla mai con il pubblico durante una performance?
A seconda della composizione del locale preparo messaggi da proiettare sulle pareti. Da inglese non posso che averlo fatto  ultimamente soprattutto con testi di stampo politico. Ho suonato a Manchester una decina di giorni dopo l’attentato e non potevo non dedicare dei pensieri alle vittime.

Avrebbe suonato a Manchester al concerto di commemorazione per le vittime?
Sì, ma non mi hanno invitato. Non sono abbastanza popolare (ride). È stato un grande successo, va benissimo così. Dobbiamo rifiutarci di dare ai terroristi la possibilità di farci vivere nella paura, smettendo di fare quello che vogliamo fare.

Non è un momento semplice per l’Inghilterra…
Appena visti i risultati del referendum sulla Brexit ho rotto l’unica regola che mi ero dato ad inizio carriera: “Non parlare mai esplicitamente di politica”. E così ho scritto su Twitter: “Music sounds better with Eu” (La musica suona meglio con l’Unione Europea ndr). L’uscita della Gran Bretagna contraddice tutto quello in cui credo. Io sono per la pace e nell’inclusione, non nell’isolamento. L’Inghilterra è parte dell’Europa. Noi dipendiamo dai nostri fratelli e sorelle in Europa, sia da un punto di vista economico che culturale e di sicurezza. Siamo un’unica famiglia. Con differenze, ma una famiglia.

Soddisfatto per come sono andate le elezioni?
Non dirò pubblicamente per chi ho votato, anche se penso sia facile intuirlo.

A casa, in Inghilterra, quanto tempo ci passa?
È sempre stato difficile trovare un equilibrio tra la vita familiare e la carriera. Al momento è più facile, suono solo durante il weekend quindi vedo i miei figli sempre durante la settimana.  Mi sono da poco separato da mia moglie dopo 18 anni di matrimonio, sto cercando un nuovo equilibrio. Qualche volta è difficile, qualche volta devi proprio lottare, dire al tuo manager “Se fai così sembra che non vedrò la mia famiglia per l’intera estate.”

Insieme ai Chemical Brothers si può dire che lei ha rivoluzionato l’elettronica degli anni ‘90.  Quel mix di funk, soul ed electro che si sente sempre più spesso alla radio sembra il figlio di suoi grandi successi come Rockafeller Skank e Weapon of choice…
Sono fiero che negli ultimi vent’anni alcune delle regole che lo caratterizzavano all’epoca siano state rotte, ma non direi mai di essere stato io a cominciare.  Sono solo parte della storia, non l’ho scritta.

Anche grazie alla popolarità che lei ha acquisito a fine anni ‘90 i dj sono diventati ormai delle superstar internazionali…
Sono cresciuto ascoltando musica pop. Poi crescendo ha iniziato a piacermi il rock. Poi il rap e l’hip hop. Poi l’house. Un giorno, quando ormai ero musicista, ho pensato: perché non unire l’attitudine del punk, la melodia del pop, il ritmo dell’hip hop e l’elemento “tossico” della musica house in un un unico gruppo? Ed eccomi qui, anche se In realtà è avvenuto tutto in maniera molto naturale, senza pensarci a tavolino. Ecco, questo è stato il mio più grande contributo a quel cambiamento.
Ha mai avuto un ruolo nella produzione dei tuoi leggendari videoclip degli anni ’90 e 2000?
Ho solo avuto solo fortuna. Da quando Spike Jones lavorò alla realizzazione di Praise You, ho sempre avuto a che fare con registi bravissimi. Semplicemente mi sono limitato a scegliere gli script migliori e a pagarli. Spesso non ero nemmeno lì quando venivano girati. In Weapon of Choice all’inizio avrei dovuto essere il portiere che passa l’aspirapolvere vicino a Christopher Walken, ma poi mia moglie ha deciso di avere il nostro primo figlio, quindi non ho fatto in tempo ad andare sul set.

La possibilità che realizzi un nuovo album sono davvero remote?
A marzo ho pubblicato un singolo dal titolo Where U Iz, ma se mi si chiede di album interi, allora penso che non succederà più. È il concetto stesso di album che è scomparso. Ormai le persone sentono la musica online. Lo fanno scegliendo le canzoni, non hanno la pazienza per un album completo. Dopo 25 anni di produzione musicale non sento più quel richiamo necessario. E non mi va di utilizzare il mio nome per qualche trovata puramente commerciale. Per ora mi diverto “solo” come dj. Spero di dimostrarvelo anche ora che vengo in Italia.

 

 

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