Quelle di Fioralba, Xavier, Cristian, Emmanuel, Sonny, Christabel, Camila, Sandro, Monia, Charlotte sono storie di cittadinanza mancata. A volte, infine, conquistata. Ma la cui assenza ogni volta ha cambiato il corso delle loro vite. “Quando lavoravo in negozio le signore italiane mi parlavano lentamente e puntualmente si stupivano di quanto parlassi bene italiano”, racconta Christabel, accento romano di Roma, sorriso contagioso e genitori della Sierra Leone. “Da quanto tempo sei in Italia, mi sono sempre sentita chiedere. Sono nata a Roma, rispondo. Sì, ma da quanto? Da tutta la vita, signora”.
La mamma di Christabel, racconta, è venuta in Italia dalla Sierra Leone all’inizio degli anni ’90. Qui ha incontrato quello che poi sarebbe diventato il suo compagno, il papà, suo connazionale. E nel 1992 è nata Christabel. “Mia mamma ha potuto fare il permesso di soggiorno solo dopo cinque anni che era residente a Roma. Nel frattempo ero nata io. In più, una volta ottenutolo, per aggiungere anche me al suo permesso, è passato un altro anno. Roba di burocrazia“. Risultato? Un “buco” di sei anni nella residenza della ragazza. E la richiesta di cittadinanza italiana a rischio: “Non è saltata, per fortuna, ma ci ha impiegato tre anni”. Giusto il tempo necessario per rinunciare al sogno di una vita. “Ero stata presa da ben cinque università prestigiose a Londra. Era quello che volevo fare: relazioni internazionali e poi lavorare per l’Africa. Da italiana, quindi europea, la retta sarebbe stata economicamente affrontabile. Da extracomunitaria quale ero era di 20mila sterline all’anno”, dice Christabel. “Non solo non ce le avevo, ma non mi sembrava giusto”.
Anche Emmanuel è nato a Roma. Gioca a basket da quando aveva otto anni. È alto un metro e 96 e vive all’Esquilino. “L’anno scorso ero arrivato a giocare con una squadra che era in serie B. Ma per metà della stagione non sono potuto scendere in campo, perché in serie B possono giocare solo italiani e io avevo ancora solo la cittadinanza nigeriana”. Ora, diciottenne e cittadino italiano, “può essere chiamato in nazionale” e si allena, tra l’altro, al centro estivo della scuola Di Donato nel quartiere tra i più multietnici della Capitale. Una scuola che ha 800 bambini: metà italiani e metà di cittadinanza straniera. “Bimbi che si mescolano, giocano, litigano, corrono e non sanno cosa sia lo ius soli“, dice Francesca Valenzo, responsabile del centro.
E poi c’è Charlotte, nata in Ghana e in Italia da 10 anni. “Quando andavo a scuola, non andavo in gita perché la questione del permesso di soggiorno per noi è un tema ogni volta”. E all’università capita di rinunciare all’Erasmus. “Certo, l’avrei fatto, ma non ci ho mai pensato”, spiega Fioralba. Viene da Scutari, nel nord dell’Albania, ed è a Roma con la sua famiglia da 16 anni. È un’attivista del movimento #Italianisenzacittadinanza: “Non possiamo rischiare di trascorrere lunghi periodi fuori per non mettere a rischio la questione della residenza”. Mamma e papà, racconta, “amano molto l’Italia e l’hanno scelta”. “Mio padre è pittore e ha scelto per me questo nome molto italiano”, sorride. “Per loro è stato fondamentale che noi vivessimo immerse ella cultura italiana. Sui banchi di scuola a partire dalla prima media per me fino alla laurea, lo scorso ottobre. Eppure rinnovo il permesso di soggiorno ogni due anni e mezzo”. E la vita è diversa da quella dei coetanei. “Quando stavo per compiere 18 anni volevo entrare insieme ai miei compagni nei musei di Roma. Ma loro sarebbero entrati gratuitamente. Io no”.
Stessa piccola avventura accaduta a Eros, romano di Roma, nato nella Capitale da genitori filippini. Nel suo caso al Colosseo, dove i compagni potevano entrare gratuitamente e lui no. Eros ha 21 anni e fa il receptionist in un albergo. In realtà avrebbe voluto fare l’assistente di volo. “Ma non avendo esperienza dovevo iniziare con piccole compagnie come Ryanair, EasyJet ecc”, racconta. “E purtroppo tutti richiedevano la cittadinanza europea”.
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