Vladimir Putin sul banco dei testimoni del processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. È l’originale richiesta della difesa del generale Mario Mori, tra i dieci imputati del processo attualmente in corso all’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. L’avvocato Basilio Milio ha infatti chiesto alla corte d’assise la citazione del presidente russo tra i testimoni del procedimento.  L’istanza – che appare come un’evidente provocazione – è subordinata all’ammissione, ancora non disposta, dalla Corte d’assise di Palermo delle intercettazioni in cui il boss Giuseppe Graviano parla in carcere degli attentati in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Intercettato per mesi durante l’ora d’aria, Graviano parla col camorrista Umberto Adinolfi e fa più volte riferimento – tra le altre cose – alle stragi del 1992. Le intercettazioni sono state depositate dalla procura di Palermo agli atti del processo e la Corte d’assise, a cui è stato anche chiesto di sentire Graviano, dovrà decidere se ammetterle o meno. Se quelle intercettazioni dovessero entrare al dibattimento, quindi, per i legali sarebbe necessario sentire anche Putin. Il motivo? Una vecchia indagine di Giovanni Falcone e del procuratore russo Stefankov su fondi neri intascati dal Pds e provenienti dal Pcus.  I legali, sempre in caso di ammissione delle intercettazioni, hanno chiesto l’esame del procuratore aggiunto Ilda Bocassini che, nel ’92, indagò sulla strage di via D’Amelio adombrando pesanti dubbi sull’attendibilità del pentito Vincenzo Scarantino.

Sia i legali di Mori che l’avvocato dell’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri si sono opposti all’ammissione delle intercettazioni di Graviano agli atti del processo. Secondo il legale di Dell’Utri, l’avv. Giuseppe Di Peri, le parole di Graviano non sarebbero “genuine” perché, come si evincerebbe dalla loro lettura integrale, il capomafia sapeva benissimo di essere intercettato.
È per questo motivo che la procura ha depositato una nuova intercettazione di Graviano. Una conversazione in cui il boss parla con la moglie citando ancora una volta il concepimento del figlio avvenuto quando era già detenuto. “Certo non potevo dirgli la verità!”, dice alla donna Graviano lo scorso 23 aprile.  Una registrazione che per il pm Nino Di Matteo prova un dettaglio fondamentale: il boss di Brancaccio non avrebbe saputo di essere intercettato. “Questa conversazione – ha spiegato Di Matteo alla Corte d’assise – è stata registrata ben 10 giorni prima della notifica dell’informazione di garanzia e testimonia, dal nostro punto di vista, la genuinità sull’inconsapevolezza di Graviano di essere intercettato”.

Nella registrazione il capomafia di Brancaccio racconta alla moglie della visita in carcere della Commissione europea contro le torture. Durante l’incontro i commissari gli chiesero chiarimenti proprio sul concepimento del figlio e sulle polemiche sorte quando si seppe che la donna era rimasta incinta mentre il marito era detenuto al 41 bis. “Graviano – ha detto Di Matteo – dice alla moglie e al figlio: ho detto loro che il mio rapporto sessuale risaliva a quando ero ancora latitante, di certo non potevo dirgli la verità”. In più occasioni – tutte intercettate dagli inquirenti –  Graviano racconta invece ad Adinolfi una storia diversa: sua moglie era entrata in carcere e aveva dormito con lui, ed è in questo modo che sarebbe stato concepito il figlio del capomafia.

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