“Doddore rischia di morire in carcere. Se appena si porta un po’ d’acqua alle labbra, il suo corpo la rifiuta, prova conati di vomito. Ma cosa deve vomitare? Sono 54 giorni che non mangia e non beve. Questa è la sua estrema protesta, a 74 anni di età, contro l’accanimento giudiziario di cui si sente vittima”. L’avvocato Cristina Puddu ha appena ricevuto copia della decisione del Tribunale di sorveglianza di Cagliari che nega gli arresti domiciliari a Salvatore “Doddore” Meloni, uno degli ultimi separatisti sardi, personaggio controverso, visionario, protagonista di clamorose proteste ed azioni.

Il 28 aprile scorso ha varcato la soglia del carcere agitando la bandiera dei Quattro Mori, perché deve scontare una pena inferiore ai cinque anni, frutto di reati di natura fiscale. Ma lo attendono altri processi, più o meno per gli stessi fatti. “In totale sono 25 – spiega l’avvocato – ma potevano essere riuniti e doveva essere applicata la continuazione. Invece sono stati tutti tenuti separati. C’è una condanna in cui è stato ritenuto amministratore di fatto di una società commerciale di cui non era nemmeno socio, ma che apparteneva alla figlia”. “Doddore”, prima di essere fermato dai carabinieri, aveva detto: “Sono condanne ingiuste frutto della persecuzione giudiziaria scatenata nei miei confronti nel 2008, all’indomani della proclamazione della Repubblica indipendente di Malu Entu, per impedirmi di continuare a lottare per l’indipendenza di tutta la Sardegna”.

Si era portato in cella una biografia di Bobby Sands, l’indipendentista irlandese di 27 anni che nel 1981 si è lasciato morire in carcere di fame e di sete. Meloni aveva annunciato l’intenzione di fare lo stesso. Infatti, non ha più mangiato, né bevuto. Ed ora si trova in condizioni critiche nel centro clinico del carcere di Uta. “È una prigione in mezzo al nulla – spiega l’avvocato Puddu – e il giudice sostiene che Doddone non è in immediato pericolo di vita…”.

Nato a Ittiri (Sassari), ma residente a Terralba (Oristano), trent’anni fa, quando aderiva al Partito Sardo d’Azione, fu protagonista di un “golpe” separatista che gli costò una condanna a 9 anni di reclusione, perché gli avevano trovato in casa dell’esplosivo e fu accusato di un attentato alla sede di Cagliari della Tirrenia, la compagnia di navigazione che collega l’isola al Continente. Anni dopo, in un’intervista, svelò che patrioti sardi erano addestrati in campi libici da personale militare del colonnello Gheddafi, pronti a far scattare l’ora X per separare la Sardegna dall’Italia.

Dopo aver espiato, tornò alla ribalta una decina di anni fa. Assieme a un centinaio di aderenti al Partidu Indipendentista Sardu (Paris), occupò l’isola di Mal di Ventre (dieci chilometri al largo della penisola del Sinis) e si proclamò presidente della Repubblica di Malu Entu (il nome sardo dell’isola). In quella occasione scrisse anche al segretario generale delle Nazioni Unite, chiedendo l’ammissione della repubblica all’Onu.

Tre anni fa è finito sotto il tiro della magistratura quando la Procura di Brescia fece arrestare 24 separatisti, in maggioranza veneti e lombardi. Ma nell’Alleanza, che secondo i carabinieri del Ros e i pubblici ministeri era un’associazione eversiva dell’ordinamento democratico, c’era anche lui, in rappresentanza del popolo sardo. Fu solo indagato. Il processo è ancora in corso. Ma a marzo, quando il pm Carlo Nocerino ha comunicato al giudice dell’udienza preliminare l’intenzione di archiviarne la posizione, lui si è opposto. “Vuole essere portato al processo, questo ha detto in aula – spiega la veronese Patrizia Badii, coimputata e animatrice di proteste in Veneto contro Equitalia – perché stato indagato e sottoposto a sorveglianza speciale. Una pattuglia era fissa sotto casa sua. Ha detto che l’archiviazione, dopo tre anni, non gli basta”.

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