È morto Helmuth Kohl e con lui, forse, se ne va un pezzo di europeismo. Quel pezzo di europeismo più strenuo e convinto che l’unione dei popoli del vecchio continente potesse essere la soluzione alla barbarie della guerra e l’inizio di una cooperazione tra stati sovrani, dopo due guerre che avevano ridotto il continente alla miseria e all’odio reciproco. Cancelliere più longevo della storia democratica tedesca (1982-1998), traghettò la Germania in uno dei periodi più difficili della propria storia, ponendosi come paladino della riunificazione con l’Est e al contempo facendosi promotore di un’Europa più unita e integrata, innescando il processo che nel lungo termine avrebbe dovuto portate alla formazione degli Stati Uniti d’Europa, passando per il trattato di Maastricht. Consapevole della paura che una Germania unita esercitava sugli altri stati del vecchio continente, riuscì a proporre in anticipo al presidente francese Francois Mitterand un’Unione Europea e una moneta comune. La visione dell’ex cancelliere tedesco fu quella di anticipare le preoccupazioni dei propri alleati, che vedevano nella riunificazione tedesca un ritorno della Grande Germania.

Non a caso Margareth Tatcher, in seguito alla Riunificazione, disse che dopo aver battuto la Germania due volte, gli stati europei si sarebbero ritrovati al punto di partenza. E se proprio indietro si vuol tornare, l’origine della Ceca nel 1951 e i trattati di Roma del 1957 nacquero, oltre che con un intento cooperativo, anche con quello di racchiudere lo stato mitteleuropeo in un gabbia che potesse placare il temuto nazionalismo tedesco. Nazionalismo temuto non solo dai partner europei, ma anche dagli stessi leader tedeschi, in ansia per l’allora giovane democrazia e per l’Unione tra Est e Ovest che doveva ancora tradursi in termini burocratici. Così Kohl ebbe l’idea rivoluzionaria di costruire qualcosa che sarebbe servito a combattere le sfide future, per creare un terzo polo tra Russia e Stati Uniti e vincere le sfide della globalizzazione dopo la caduta della cortina di ferro.

Ed è alla morte di Kohl, quando al potere in Germania è rimasta la sua delfina, Angela Merkel, che ci si interroga se il processo di riunificazione tedesca e quello di cooperazione europea siano riusciti a progredire. Da un lato superando le disuguaglianze economiche e sociali tra Germania Est e Ovest tuttora presenti, dall’altro fermando i focolai nazional-populisti che stanno mettendo a rischio il processo di integrazione europeo. Che forse entrambi i processi, di unione e ri-unione, siano stati troppo veloci e frutto dell’onda emotiva che travolse la Germania e l’Europa, tutta, nel 1989? Un primo sasso nelle acque già agitate dello stagno europeo, mosse da una crisi che dura ormai da quasi 10 anni e dall’accusa di un’Europa sempre più a guida tedesca, è stato il referendum su Brexit. La decisione di Londra, insieme alla crisi del debito greco con rischio di un’uscita del paese ellenico dall’Euro, hanno aperto una spaccatura che al momento appare insanabile.

Entrambe i processi, sebbene per motivazioni differenti, pongono delle domande ai leader europei. C’è bisogno di più Europa o di meno Europa? Kohl non avrebbe certo esitato nel rispondere. Del resto l’ex cancelliere rilanciò il processo di integrazione europea sino a parlare di unità, sostenendo che se l’Unione non fosse stata realizzata dalla generazione che aveva conosciuto la guerra, forse non sarebbe mai più stata possibile. La sua visione lo portava a intravedere che oltre la moneta unica c’era un’Europa che rafforzasse i poteri dell’esecutivo, allargasse i poteri dell’istituzione e conferisse maggiore legittimità democratica al parlamento. Il trattato di Maastricht, che non trattò solo della moneta, all’inizio del 1992 riuscì a realizzare, in parte, questi obiettivi. Ma ormai è giunto il turno dei politici che non hanno vissuto la guerra e l’Europa è passata velocemente da 7 anni di prosperità a quasi dieci di crisi, perdendo un pezzo importante nel proprio scacchiere, il Regno Unito, e lasciando indietro paesi che sono stati fondamentali nel processo di fondazione, si legga Italia.

Sono giunti gli anni della crisi economica, del nazionalismo, della crisi dei rifugiati, del drago cinese, della paura della globalizzazione e delle decisioni prese in fretta. Un’Europa che mira a prendere decisioni a breve termine per non deludere i propri cittadini, ma che così facendo non adotta nessuna prospettiva di lungo termine, come, invece, proprio Kohl intravide. Forse questa Europa manca di lungimiranza, di memoria e di solidarietà, ossia il principio fondante di questa istituzione, che nacque per unire più che per dividere, anche perché senza questa coesione e solidarietà perderebbe il proprio senso. Sembra quasi che i figli abbiano ucciso il sogno dei propri padri portando a compimento ciò che la generazione di politici che aveva vissuto la guerra temeva. E chissà, infine, se quando l’ex cancelliere tedesco diceva di non volere un’Europa tedesca ma una Germania europea, volesse preannunciare quello che sarebbe stato il pericolo futuro. E proprio parlando di parricidio, Kohl in un’intervista sottolineò che bisognava ritrovare l’affidabilità di un tempo, rilanciando l’amicizia franco-tedesca e non mancare di coraggio nelle scelte, in particolare sulla Grecia, sostenendo che non ci si doveva chiedere se fosse giusto o meno essere solidali. Una dichiarazione che sembra diretta proprio ad Angela Merkel. Ma, almeno su una cosa, la kanzlerin ha ascoltato il suo mentore, grazie all’elezione di Emmanuel Macron all’Eliseo, l’amicizia franco-tedesca è tornata al suo vecchio splendore. La speranza è che anche il resto possa tornare a funzionare.

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