Giovedì 6 aprile Valerio Staffelli, giornalista di Striscia la notizia, intercetta con telecamera e microfono alcuni dipendenti dell’Istituto Beni Artistici Culturali Naturali dell’Emilia-Romagna con incalzanti domande su dove si recavano, da dove tornavano e se avevano strisciato il badge nel marcatempo. La notizia si sparge in un baleno: l’Ibc è sotto l’occhio delle telecamere.

Venerdì 7 aprile tutto il personale viene convocato dal Presidente Angelo Varni e dal direttore Alessandro Zucchini con Paolo Di Giusto, responsabile del servizio amministrazione e gestione, rassicurano i dipendenti che c’è stima per tutti e che l’Ibc è una famiglia in cui dedizione e onestà sono valori indiscutibili. La gestione delle uscite all’Ibc era stata oggetto nel tempo di diverse disposizioni procedurali, prima automatizzate attraverso la rilevazione informatica, rivelatasi poco adatta alla molteplicità delle situazioni, poi modificate con i registri cartacei. Per un istituto con cinque sedi, tre in centro città, una in regione e una addirittura in provincia a San Giorgio di Piano, la mobilità organizzativa è una condizione funzionale insopprimibile. Anche per la pausa caffè, abitudine contemplata in tutta la regione e regolamentata in modo diverso a seconda delle situazioni logistiche differenziate non è prevista la timbratura.

Oggetto dell’incalzante inchiesta giornalistica sono presunti casi di assenteismo.

La sera di venerdì 7 il governatore Stefano Bonaccini, intervistato da Staffelli che gli consegna il tapiro d’oro, dichiara che “chi ha sbagliato pagherà”. Lunedì 10 aprile Striscia la notizia manda in onda il primo servizio, in cui si vede il personale fuori dall’istituto ma il giorno e l’ora non si evincono dagli spezzoni dei filmati. Il secondo servizio va in onda mercoledì, nel frattempo comincia la “caccia”. I dipendenti vengono chiamati in Regione: gli viene chiesto di confermare le eventuali manchevolezze dei colleghi, s’instilla volutamente un clima di terrore e di sospetto reciproco tra lavoratrici e lavoratori.

Bonaccini è preso dal “sacro furore” di dimostrare che quel che non ha fatto prima, e che rientrava nei suoi precisi compiti, ovvero vigilare sulla regolarità dei comportamenti dei dipendenti, lo persegue ora con cinica ed autoassolutoria furia punitiva: istituisce così un collegio ispettivo, quasi un tribunale dell’inquisizione, di dubbia conformità.

Lo dimostrano le cervellotiche disposizioni impartite per regolamentare uscite ed entrate del personale, degne di una commedia kafkiana: dress code che rispecchiasse il decoro delle istituzioni, tempi di spostamento fra le diverse sedi cronometrati, telecamere. I provvedimenti oggetto di accordi sindacali sono: marcatempo ai bar interni nelle sedi di viale Aldo Moro 50 e 21; controlli a campione per l’effettiva rispondenza fra timbrature e presenza al lavoro; viene introdotta una nuova causale (Psfs) che coprirà in automatico le assenze brevi per gli spostamenti fra varie sedi, ma senza quantificazione temporale; l’obbligo di timbratura – tutte le volte che si esce dalla propria sede andrà presentato un modulo cartaceo firmato dal dirigente -; infine l’introduzione di una nuova causale per le pause inferiori ai 10 minuti (da recuperare a fine turno) che non andranno ad incidere sul montante annuo di 36 ore di permesso (anche queste da recuperare). Un regime poliziesco di controlli burocratici che mal si concilia con le caratteristiche delle prestazioni professionali mediamente elevate che richiedono autonomia e un’efficace flessibilità organizzativa. S’evidenzia anche in questo caso una notevole dose di approssimazione, oltre che di cattiva coscienza.

Al fondo di questa tragica e grottesca vicenda, c’è che un intero istituto, fiore all’occhiello del governo regionale, messo all’indice come luogo di arbitrio e scorrettezze da parte dello stesso personale che è stato capace nel tempo di portarlo ai più alti livelli di prestigio – appena pochi giorni prima dello “scandalo” i massimi vertici dell’istituzione plaudivano i risultati raggiunti, in particolare nell’ambito dei progetti finanziati con fondi europei.

L’ipocrisia regna sovrana in una città e in una regione, indifferenti di fronte ai fatti che investono il funzionamento delle istituzioni e la struttura del potere. La stampa locale, sempre più allineata, dopo i primi “fragori” mette il silenziatore, evitando di approfondire con serietà tutti gli aspetti della vicenda: i tribunali sentenzieranno se effettivamente lavoratrici e lavoratori contro i quali si stanno adottando severissimi quanto spropositati provvedimenti, abbiano effettivamente commesso degli abusi.

Ma al di là di quanto accadrà, è risultata evidente l’inadeguatezza della classe dirigente al governo della Regione. Una risorsa prestigiosa come l’Istituto beni culturali, ideata e voluta da Guido Fanti, utile strumento di conoscenza del territorio, di un governo regionale che fu ai vertici e all’avanguardia in Italia ed in Europa, non può essere screditato con tanta semplicistica demagogia. D’altro canto la svendita del patrimonio storico regionale e locale procede imperterrita in molti altri atti ed aspetti della vita pubblica.

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