Adesso la palla passa al ministero dello Sviluppo economico. Perché i commissari hanno stilato la loro graduatoria: secondo le valutazioni di Corrado Carrubba, Piero Gnudi ed Enrico Laghi, gli asset dell’Ilva dovrebbero andare ad Am Investco Italy, joint venture tra ArcelorMittal e gruppo Marcegaglia, sostenuta da Banca Intesa SanPaolo. L’aggiudicazione del siderurgico è più vicina dopo i numerosi rinvii che hanno portato a un ritardo di quasi un anno nella definizione della vendita. E, stando alle indiscrezioni, il colosso guidato da Lakshmi Mittal è in vantaggio sulla cordata AcciaItalia, composta dal gruppo indiano Jindal, Cassa Depositi e Prestiti, la finanziaria Delfin di Leonardo Del Vecchio e il cremonese Arvedi. Dopo l’ultima riunione, tenutasi mercoledì, i commissari hanno definito le graduatorie e le illustreranno al comitato di sorveglianza del Mise, spiegando perché è più convincente l’offerta di Am Investco sulla base del piano industriale, dell’impatto ambientale e del prezzo.

La joint venture aveva illustrato le linee guide della propria offerta dopo la consegna delle buste. Al di là dell’offerta economica messa sul piano – 1,8 miliardi contro 1,2 di Acciaitalia – Am Investco garantisce una produzione di 6 milioni di tonnellate con gli altoforni attivi in questo momento. Ma nel giro di qualche anno, la probabile acquirente conta di arrivare a 10 milioni, otto dei quali provenienti dalla zona a caldo. Sotto il profilo ambientale, invece, è previsto l’impiego di nuove tecnologie “a bassa emissione di anidride carbonica, tra cui la cattura e l’utilizzo del carbonio”. Per attuare il piano, Am Investco è pronta a investire 1,1 miliardi di spesa in conto capitale per il lato ambientale, mentre cento milioni di investimenti in più (1,2 miliardi) sono pronti per l’aspetto industriale, tra cui il rifacimento dell’altoforno 5. Il tutto, hanno spiegato ArcelorMittal e Gruppo Marcegaglia negli scorsi mesi, verrà sostenuto grazie a linee di credito disponibili “pari a oltre 5 miliardi di euro”. Ai quali si dovrebbero aggiungere gli 1,1 miliardi che la famiglia Riva è pronta a far rientrare in Italia, da destinare all’ambientalizzazione e alla bonifica dell’impianto tarantino.

Adesso spetterà al governo ufficializzare la scelta. Il prossimo 30 maggio il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda incontrerà, assieme al vice ministro Teresa Bellanova e ai commissari, i segretari generali di Fim, Fiom, Uilm, Ugl Metalmeccanici, Cgil, Cisl e Uil per “comunicare lo stato di attuazione della procedura relativa alla cessione degli impianti Ilva”. Un incontro che ai sindacati erano stato garantito prima della scelta definitiva perché potessero esprimere il loro parere non vincolante sui piani industriali e ambientali delle cordate. Per questo il segretario generale Fim Cisl, Marco Bentivogli, si è augurato che Calenda “smentisca al più presto le indiscrezioni” perché “è singolare ricevere la tanto attesa convocazione dell’incontro per il confronto relativo ai due piani industriali contenuti nelle offerte per le due cordate per l’acquisizione di Ilva e contestualmente leggere che l’aggiudicazione a una delle due cordate in realtà è già avvenuta“. Il ministero ha poi puntualizzato che l’aggiudicazione non è ancora avvenuta.

Il segretario della Fiom Rosario Rappa parlando con ilfattoquotidiano.it commenta: “Apprendiamo dalle agenzie, al momento senza conferme da parte dei commissari né del governo, qual è l’orientamento circa la vendita dell’Ilva. Per quanto ci riguarda, siamo fermi all’impegno formalmente assunto dal vice ministro Teresa Bellanova e dal ministro Calenda: prima di qualunque aggiudicazione formale avrebbero sentito il parere delle organizzazioni sindacali”. “Di conseguenza, mi aspetto che il ministro ci ascolti prima di aver assunto qualsiasi decisione e che ci vengano illustrate le due proposte e quali sono i convincimenti che porteranno a privilegiare l’una a discapito dell’altra”. Al tavolo convocato per martedì la Fiom baserà il proprio parere “sugli investimenti, l’ambientalizzazione e l’aspetto occupazionale. Non è pensabile, infatti, utilizzare il prezzo di vendita come principale criterio di scelta. In aggiunta c’è un aspetto che il Governo deve chiarire già in questa fase, alla luce dei rilievi dell’Antitrust Ue: perché i commissari avevano chiesto la proroga delle offerte?”.

In ogni caso è il comitato di sorveglianza del Mise che deve formalmente scegliere la vincitrice della gara. Poi toccherà al ministro firmare il decreto che sancirà ufficialmente la scelta, alla quale seguirà un mese di confronto sul piano ambientale presentato da Am Investco per verificare se rispetta o meno le indicazioni del ministero dell’Ambiente, chiamato poi a emettere il proprio decreto. Sulla scelta pendono anche le verifiche dell’Antitrust europeo che vigila sulle quote di mercato di ArcelorMittal. Il colosso franco-indiano, infatti, è sotto osservazione perché l’acquisizione dell’Ilva potrebbe comportare lo sforamento del tetto fissato al 40%. Un’ipotesi che i futuri proprietari dell’Ilva hanno rigettato, citando i dati dell’Eurofer, la confindustria europea dell’acciaio: attualmente le quote europee sarebbero del 25% nei laminati a caldo e nei laminati a freddo. E, sostiene ArcelorMittal, non supererebbero il 30% con l’aggiunta dell’Ilva.

Fatto sta che lo scorso 10 aprile l’Antitrust aveva scritto alle autorità italiane ammonendo sulle “regole della procedura per gli aiuti di Stato e “i rischi correlati ai due offerenti”, tra cui anche “quelli di natura regolatoria che potrebbero rendere la vendita difficile da completare, a fortiori, se questa venisse completata in tempi brevi”. Non a caso, un mese più tardi, l’advisor dei commissari aveva chiesto la proroga delle validità delle offerte ad entrambe le cordate. Acciaitalia non ha accettato, mentre Am Investco ha dato l’ok, confermando anche altri due obblighi: mantenere l’offerta invariata in termini economici, garantire gli investimenti già indicati e non modificare il piano, compreso il perimetro dell’azienda anche in presenze di eventuali prescrizioni dell’Antitrust Ue. In caso di rilievi europei, insomma, Am Investco si è impegnata a cedere asset in altri Paesi per rientrare sotto il tetto del 40 per cento.

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