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Rino Zurzolo morto, l’ultimo giro di basso dello storico contrabbassista di Pino Daniele

Autentico virtuoso dello strumento, intuì la potenzialità della di una ritmica corposa e calda in una deviazione delle strofe blues che si tinse di una vitalità partenopea che non ebbe più eguali nei decenni a venire, e che ebbe echi oltretutto internazionali

di Davide Turrini

A nuje ce piace ‘o blues e a nuje ce piace Rino. L’ultimo giro di basso di Rino Zurzolo ha vibrato nell’anima di tutti coloro che hanno amato il cantautorato italiano anni settanta nella notte tra il 29 e il 30 aprile 2017. Lo storico contrabbassista della band degli esordi e degli immensi live di Pino Daniele, probabilmente il più grande bassista del panorama musicale italiano, è morto a Napoli stroncato da un tumore. Di fianco a Pino Daniele dentro al garage del percussionista Rosario Jermano, Rino decenne, Pino quattordicenne, quando ancora doveva scoccare il decennio dei settanta, si sono scambiati grazia e intuizioni di una contaminazione musicale dove si sono mescolati blues, napoletanità, e perfino scale armoniche arabeggianti per poi prorompere nello storico album d’esordio di Daniele, Terra Mia nel 1977. “Noi eravamo più lenti di oggi, ma più liberi”, ha sempre raccontato Zurzolo che ufficialmente nei primi anni settanta iniziò a far parte della storica band dei Batracomiomachia. “Tra musicisti c’era la passione di riunirsi in gruppi musicali, incontrarsi ogni giorno, una passione fortissima. All’epoca non c’erano sale prove, ma piccoli laboratori, e si andava lì senza uno scopo preciso. Mica pensavi a un cd o ad un concerto a breve, c’era soltanto la passione”, ha raccontato Zurzolo a Mauro Fermariello di Napolistories. “Saltavo la scuola per andare a suonare. Una volta i miei genitori vennero perfino a scuola e non mi trovarono. Andavo a provare fino a notte inoltrata. Io venivo dal conservatorio, Pino dalla scuola Diaz. Lui mi veniva a prendere poi si iniziava. Erano composizioni nostre, registravamo, vivevamo nella passione del farlo”.

Nato in una famiglia dove se si suonava uno strumento musicale non si veniva tacciati di non far nulla (un altro fratello è sassofonista e una sorella cantante), Zurzolo iniziò fin da piccolo ad appassionarsi all’uso del contrabbasso studiando le armonie dei madrigali e parecchio Bach. Anche se la vera passione di Rino diventò presto il jazz, e addirittura la fusion. Autentico virtuoso dello strumento, intuì la potenzialità della di una ritmica corposa e calda in una deviazione delle strofe blues che si tinse di una vitalità partenopea che non ebbe più eguali nei decenni a venire, e che ebbe echi oltretutto internazionali. Enzo Gragnaniello, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, e ancora la collezione e le performance al sax di James Senese, si integrano al “contrabbasso delle meraviglie” di Zurzolo per un’epoca d’oro che solo in parte i dischi di Pino Daniele riescono a rappresentare del tutto. Anche se a metterli in fila brani come Napule è, Terra mia, Je so pazzo, si rimane attoniti di fronte a tanta incredibile poesia, letteralmente unica, impossibile da copiare, rifare, rimodulare. Sono poco più di mezza dozzina gli album in studio con Pino Daniele, ma Zurzolo è sempre stata presenza fissa nei live del grande cantautore napoletano. Lo ritrovavi dappertutto, perfino nelle comparsate tv, quando spostare tutta la band era complicato, sbucavano Pino e Rino con il suo lungo, affusolato e sinuoso contrabbasso. Questione di feeling, di fiducia e di una inesausta vena di pazzia sperimentale: “I pezzi più intimi di Pino nacquero così, in duo o in trio. Ci sono in ogni disco. Nella versione poi registrata li abbiamo sempre lasciati come erano nati”.

Non un animale performativo alla Jaco Pastorius, semmai un rigoroso, preciso, attentissimo costruttore di fitte trame di accordi, il suono dello strumento di Zurzolo lo percepivi sottile, continuo, instancabile come a dettare arcaicamente e puntigliosamente le strade dove doveva distendersi il brano. Zurzolo aveva poi suonato con decine di musicisti in ogni angolo del pianeta. In Italia con Mia Martini, Giorgia, Eros Ramazzotti, perfino Giorgio Gaber. Poi Chet Baker, Bob Berg, Toots Thielemans. Anche se nelle ore che hanno seguito la scomparsa del musicista dai social l’hanno salutato sia Gigi D’Alessio che Saturnino (“Riposa in pace Maestro”), è stato Tullio De Piscopo a ricordarlo con un groppo in gola: “Sento un dolore forte al petto e vorrei urlare per tutto quello che abbiamo diviso insieme, le cose più belle e le situazioni più difficili, da cui siamo sempre usciti alla grande. Abbiamo condiviso grandi tournée e lunghi viaggi in pullman e l’odore del tuo sigaro che mi tranquillizzava sulla tua presenza. Abbiamo passato i momenti di relax persi assieme nella bellezza del cielo, in spiaggia eri come una lucertola che dietro quegli occhiali scuri amava prendersi tutto il sole per sé. Vivrai per sempre nel mio cuore. Ciao guaio”.

Il contrabbassista napoletano insegnava al conservatorio “Sala” di Benevento e ai ragazzi diceva sempre: “Insegno ai miei allievi che oggi è cambiato tutto. Quando mi portano un cd io gli dico che tanto non lo ascolto. Gli ripeto sempre: vi dovete dimenticare di dimostrare qualcosa, dimenticate quello che potete fare, perché altrimenti state solo scimmiottando qualcuno o qualcosa. Solo quando vi sentite pieni e dovete far uscire qualcosa siete arrivati”.

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