Il povero lettore che leggesse i giornali di questi giorni si troverebbe assai confuso a proposito della sentenza del giudice di Ivrea che ha stabilito un nesso tra uso del cellulare sul lavoro e sviluppo di un tumore (con relativo risarcimento Inail). Perché sotto (o intorno) alla notizia della sentenza si trova una ridda di interviste a esperti, i quali mettono le mani avanti dicendo che il nesso non è stato scientificamente dimostrato, ma che tuttavia è meglio essere prudenti, specie nel caso di bambini e adolescenti.

Insomma, il cellulare potrebbe far male, però non possiamo dirlo con certezza e a voce troppo alta. Un messaggio ambiguo che rischia di aumentare la confusione.

Un peccato perché, come ha scritto il giornalista Riccardo Staglianò nel suo libro del 2012, Toglietevelo dalla testa. Cellulari, tumori e tutto quello che le compagnie telefoniche ci tengono nascosto (Chiare Lettere), qualche certezza c’è, ossia una buone mole di studi – citata nel libro – che un aumento di rischio di tumore legato all’uso del telefonino l’ha dimostrato. Così come ci sono numerosi paesi che hanno cominciato a mettere le mani avanti non solo diffondendo guide, ma iniziando a lanciare un messaggio chiaro tramite film e fiction, in cui i protagonisti utilizzano sempre gli auricolari, al contrario dei nostri (trovatemi un film italiano dove ci sia una telefonata, magari particolarmente tempestosa, con l’auricolare di mezzo).

Abbiamo raggiunto Staglianò al telefono per un commento sulla sentenza di Ivrea. “Questa decisione – dice Staglianò – non cambia, dal punto di vista scientifico, i termini di questa intricata questione. Semplificando all’osso, lAgenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha incluso le radiazioni dei cellulari tra i fattori ‘possibilmente cancerogeni’. I manuali dei telefonini consigliano di tenerli a distanze tra 1,5 e 2,5 centimetri dal corpo. Interphone, il più ampio studio europeo, ha concluso che non esiste ‘legame conclusivo tra cellulari e tumori al cervello’, relegando all’appendice le indicazioni di un rischio aumentato. Gli studi dello svedese Lennart Hardell mostrano un incremento dell’incidenza dei tumori alla testa fra chi li utilizza da oltre 10 anni. Più di recente, un enorme studio dell’americano National toxicology program ha evidenziato un aumento di rischio nei topi maschi. Perché solo i maschi? Non si sa. Ce n’è più che abbastanza però per adottare il principio di precauzione, ovvero sconsigliarli ai bambini e usare tutti, per quanto possibile, gli auricolari. Un atteggiamento ragionevole che, tra gli altri, mi ha confessato di adottare Elizabeth Cardis, ex-coordinatrice globale dell’Interphone e la maggior parte degli scienziati intervistati per il mio libro”.

Proprio l’avvertimento scritto nei manuali sul tenere il cellulare a distanza (una strana noticina, segno di cattiva coscienza, e comunque paradossale, come se nel libretto di istruzioni di un rasoio da barba si consigliasse di tenerlo a distanza dalla tua guancia) ha spinto l’autore  ad avviare la sua ricerca, da cui è nato il libro. La cui conclusione è che “servirebbero molti studi indipendenti, non finanziati da operatori o produttori, e che gli studi pagati dall’industria tendono a sottostimare pesantemente l’aumento di rischio”.

C’è da chiedersi, tuttavia, come mai le compagnie non si decidono a fare il passo decisivo: informare gli utenti, cioè tutti noi, che nel frattempo del cellulare abbiamo cominciato a fare un uso veramente massiccio, dei possibili rischi di questo comportamento. Eppure, basterebbe scrivere sulla confezione del cellulare che parlare troppe ore al telefono tenendolo a contatto con l’orecchio potrebbe causare il cancro e che l’uso dell’auricolare è consigliato per evitare ogni rischio.

Esattamente come si fa con i pacchetti di sigarette (per le quali, tuttavia, la connessione è presentata come assolutamente certa, visti gli studi univoci in merito). D’altronde, difficilmente qualcuno di noi oggi rinuncerebbe all’uso del cellulare pur sapendo che non va messo a contatto con il corpo. Semplicemente, adotterebbe misure precauzionali. E allora perché non farlo? Quali danni causerebbe alle aziende?

Infine, una battuta contro chi ha avanzato critiche verso il fatto che i giudici possano emettere sentenze alla stregua di scienziati. È vero, questa sentenza non cambia nulla dal punto di vista scientifico. D’altra parte, però, se il tema è assolutamente assente nel dibattito pubblico, se il governo non fa nulla, mentre le persone continuano ad ammalarsi, ben venga una decisione, sia pur giuridica, che scuota finalmente le acque e faccia parlare del problema.

Nel frattempo, impariamo a fidarci anche del nostro buon senso. Tutti conosciamo la sensazione veramente fastidiosa, una sorta di calore, misto a dolore, che interessa tutta l’area dell’orecchio dopo una telefonata di un’ora senza auricolare. Anche in presenza di studi provvisori, come possiamo credere che non faccia male?

Per proteggersi quanto possibile e proteggere chi ci sta vicino, meglio dunque mettere in pratica i consigli del libro:

1)I bambini dovrebbero usare i cellulari solo per le emergenze.

2)La distanza è vostra amica: auricolare (con il filo), vivavoce o sms ogni volta che è possibile.

3)Poche barre, molte radiazioni. Non chiamate quando c’è poco segnale.

4)Quando siete in movimento (treno, auto), il cellulare fatica ed emette più radiazioni.

5)Quando il telefono prova a connettersi emette più radiazioni: tenetelo lontano dalla testa sin quando l’altro non risponde.

6)Evitate di tenerlo a contatto con il corpo. Niente tasche dei pantaloni né taschini della camicia.

7)Accorciate le chiamate. Se proprio non potete, alternate orecchio.

8)Ogniqualvolta potete passare alla linea fissa, fatelo.

9)Non addormentatevi con il cellulare acceso sul cuscino o troppo vicino. Tantomeno lasciatelo fare ai vostri figli.

10)I telefoni non emettono tutti lo stesso livello di radiazioni. Anche se è un indicatore imperfetto, scegliete il modello con minore tasso di assorbimento specifico (Sar).

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