Si avvicina un anniversario importante per il popolo curdo e un altrettanto necessario momento di mobilitazione. 18 anni fa, per l’esattezza il 15 febbraio, dopo un lungo periodo di indecisioni, il leader curdo Abdullah Öcalan, presidente del Partito dei Lavoratori curdi (Pkk) veniva convinto a uscire dall’Italia in cui si era rifugiato, sotto il governo D’Alema, per andare in Kenia dove era immediatamente sequestrato dai servizi turchi e rinchiuso in un carcere impenetrabile nell’isola di Imrali. Da allora pende sul suo capo una condanna a morte poi commutata in ergastolo.

Sabato 11 febbraio, una grande manifestazione si terrà a Milano per chiedere la liberazione di Öcalan e delle prigioniere e i prigionieri politici che abbondano in una Turchia sempre più avviata a divenire una versione moderna di sultanato, con un presidente/dittatore che vuole costruire una società intrisa di nazionalismo para fascista e fondamentalismo, con una limitazione assoluta di ogni spazio di democrazia. Si chiudono in Turchia come se nulla fosse, giornali, si arrestano docenti, magistrati, esponenti di associazioni per i diritti umani, parlamentari, intellettuali e sindacalisti. Chiunque si frappone allo strapotere di Erdogan e alle sue mire espansionistiche in Siria e Iraq. Una manifestazione importante che sarà attraversata anche da esponenti della comunità curda in Svizzera e che si svolge in contemporanea con un appuntamento internazionale simile convocato non casualmente a Strasburgo.

Recep Tayyip Erdogan deve infatti una parte significativa del suo potere dai riconoscimenti esteri che vanno dall’appartenenza alla Nato fino ai 6 miliardi dati dalla Ue per fermare il passaggio in Europa di profughi, in gran parte provenienti dai massacri che si perpetrano tutt’ora in Siria. Il regime turco è stato legittimato dalla Ue a fare ciò che vuole di 3 milioni di profughi dell’area, purché ne fermi il viaggio verso l’Europa.

Un potere di ricatto che gli permette di bypassare tranquillamente ogni convenzione internazionale, di intervenire militarmente negli scenari di guerra, di promettere il ripristino della pena di morte e di far arrestare i parlamentari dell’opposizione non graditi come gli eletti dell’Hdp (Il Partito Democratico dei Popoli) che rappresenta non solo la maggioranza dei curdi ma molte delle forze democratiche, laiche e progressiste della Turchia.

Presidente e copresidente sono già in carcere insieme ad altri 13 colleghi, con la minaccia di condanne assurde per le opinioni espresse. La stessa Dilek Öcalan, nipote del leader e anch’ella deputata, è stata trattenuta a lungo in aeroporto a Istanbul dove doveva imbarcarsi per Milano e partecipare l’8 febbraio a una conferenza stampa, per poi sfilare nel corteo. È stata rilasciata ed è riuscita a giungere in Italia dove ha dichiarato che «quella del governo turco nei confronti dei curdi è una politica di genocidio a tutti gli effetti. È il tentativo di annientare un popolo la cui unica richiesta è quella di poter vivere in pace nelle terre dove ha sempre abitato, parlando la propria lingua e dando libera espressione alla propria cultura». A Milano è già presente anche Mahmut Şakar, uno degli avvocati di Abdullah Öcalan, in esilio perché già condannato più volte per aver svolto la sua professione e accusato di aver diffuso gli “scritti dal carcere” del suo assistito.

Due vicende emblematiche di quale sia lo stato della democrazia in Turchia a fronte di una forza politica come il Pkk che è stata negli anni, nonostante le violenze atroci subite, i villaggi distrutti, i nuclei familiari dispersi, l’esilio, capace di elaborare una proposta politica che non va a intaccare l’integrità dello Stato ma propone una gestione basata sul “confederalismo democratico”, una visione della politica in cui la partecipazione degli uomini e delle donne, indipendentemente dal credo religioso o dalla minoranza a cui si appartiene, costruisca convivenza e interrelazione.

Quanto di più eversivo in un contesto come quello mediorientale, in cui si vogliono costruire Stati monoconfessionali, piccole patrie da controllare e di cui gestire le risorse. Ed è anche per queste “lezioni di costruzione di nuove ipotesi di democrazia” maturate in Turchia come in Siria, nei cantoni del Rojava, dove gli uomini e soprattutto le donne fronteggiano l’Isis e contemporaneamente si debbono difendere dall’esercito turco, che Rifondazione Comunista si riconosce in questa lotta e partecipa alla manifestazione di Milano.

La sera di venerdì 10 febbraio si è tenuta, sempre a Milano, presso il Cam Gabelle, in Via San Marco 45 un incontro pubblico, organizzato dal Prc-Se, in collaborazione con Rete Kurdistan Italia, dal titolo Repressione in Turchia e complicità europea, a cui con me saranno presenti, Faysal Sariyildiz, deputato Hdp, Mahmut Şakar, (legale di Abdullah Öcalan) e Barbara Spinelli, avvocatessa, da anni attiva come altri colleghi europei per la difesa dei diritti umani in Turchia e recentemente rimandata indietro dallo Stato turco. Un appuntamento che deve segnare la continuazione dei rapporti con un popolo e una visione del mondo da cui dovremmo molto imparare.

Articolo Precedente

Il vento è troppo forte e il camion si ribalta. L’incidente è da brividi

next
Articolo Successivo

Usa, Nbc: “Putin pensa di consegnare la talpa Snowden come regalo a Trump”

next