Dopo 12 mesi da quel 25 gennaio 2016 inizia il secondo anno della ricerca della verità sull’arresto, la sparizione, la tortura e l’uccisione di Giulio Regeni.

Ieri, in occasione del primo anniversario della scomparsa, la manifestazione nazionale di Roma e le fiaccolate in 24 città italiane hanno raccolto migliaia di persone intorno a quella scritta nera su fondo giallo che ancora campeggia all’esterno di tante case, tante scuole e università e tanti palazzi istituzionali: Verità per Giulio Regeni.

C’è da più parti ottimismo, in Italia, sul fatto che possiamo essere di fronte a una svolta: la verità, si dice, è più vicina.

Gli ultimi sviluppi, che vedono per protagonista Mohamed Abdallah il capo del sindacato degli ambulanti del Cairo, con le sue interviste e con le sue riprese di nascosto, ci dicono che l’apparato dei servizi di sicurezza egiziani non può più dichiararsi estraneo alla terribile fine di Giulio, come per mesi ci era stato invece proposto attraverso depistaggi e messinscene – peraltro costate la vita a cinque cittadini egiziani del tutto innocenti.

Ma a quale verità siamo più vicini?

Quella che chi esamina, sul campo, la situazione dei diritti umani in Egitto conosce bene, ossia che a Giulio è toccata la stessa sorte, con la medesima feroce dinamica e la collaudata catena di comando e d’impunità, di centinaia di vittime di sparizione e tortura negli ultimi due anni?

O quella di mezzo, o di comodo, più volte pubblicamente rifiutata dall’Italia, delle mele marce in un cesto sano, ossia di qualche funzionario dello stato egiziano che ha agito individualmente, senza ricevere ordini e senza informare nessuno? Davvero si potrebbe credere che in Egitto sparizioni, torture e uccisioni di detenuti avvengano all’insaputa di tutti, in assenza di una catena di comando?

Questa è la verità cui oggi rischiamo di arrivare, per stanchezza, perché non c’è modo di arrivare ad altro, perché poco è meglio di niente, il meglio è nemico del bene bla bla bla….

Quella verità sistemerebbe le cose dal punto di vista di entrambi i governi: per il Cairo e per Roma significherebbe ripristinare normali rapporti. Business as usual.

Una verità conveniente e parziale che assolvesse le istituzioni egiziane rimandando la responsabilità su singoli agenti dello Stato non sarebbe affatto un successo dell’Italia. Sarebbe solo il segnale che ci si è accontentati di quel poco che è arrivato dal Cairo.

Articolo Precedente

Roma, nuovo progetto per disabili: “La sfida? Welfare con poche risorse”

next
Articolo Successivo

“Forgetting Auschwitz, Remembering Auschwitz”. Un esperimento sociale per lanciare l’archivio dei ricordi

next