Nove persone sono state arrestate in Australia, quattro di loro sono accusati dell’omicidio del boss calabrese Pasquale Barbaro avvenuto due settimane fa a Sydney. Gli altri cinque sono accusati di far parte di un’organizzazione criminale dedita al traffico di armi e di droga. Sembra confermata, quindi, l’ipotesi investigativa secondo cui il delitto del boss originario di Platì, nella Locride, fosse maturato nell’ambito di uno scontro tra bande. Oltre agli arresti (a chi non è accusato di omicidio è stata concessa la libertà su cauzione), “sono stati eseguiti tredici mandati di perquisizione” ha sottolineato il vicecommissario di polizia Mark Jenkins. Nel corso del blitz, inoltre, sono state sequestrate numerose armi di diverso calibro, giubbotti antiproiettile e maschere, oltre a 11 auto, 40 telefoni cellulari, una cassaforte, droga e contante.

Quello di Barbaro è stato l’ottavo omicidio in pochi mesi tanto che la polizia australiana ha costituito una task force che sta dando i primi risultati: “Questa non è la fine”, ha detto Jenkins. “Continueremo a prendere di mira questi individui attraverso indagini metodiche e strategie di intervento. Gli arresti continueranno”. Ad aprile, il boss della malavita australiana Walid Ahmad, 40 anni, è stato ucciso in un agguato consumato in pieno giorno mentre era seduto in un bar del centro commerciale Bankstown centrale. Era stata la risposta all’omicidio di Safwan Charbaji avvenuto poche settimane prima. Nel giugno 2015 era toccato a Mark Pasqua mentre nei primi sei mesi del 2016 a Michael Davey e Adrian Buxton. A settembre, poche settimane prima dell’omicidio di Barbaro, infine, è stato ucciso Mehmet Yilmaz.

Stando alle indagini, Pasquale Barbaro sapeva di essere nel mirino. Usciva solo se necessario e per incontrare persone di fiducia. Negli ultimi tempi si pensava fosse diventato un informatore della polizia e per il rischio di essere ammazzato usava un giubbotto antiproiettile. La notte del 14 novembre, però, il boss conosciuto con il soprannome di “Pat” non lo aveva indossato. Doveva essere una serata tranquilla a casa di un suo affiliato.

Non poteva immaginare che i sicari lo stavano attendendo fuori dall’abitazione. Appena si è avvicinato alla sua Mercedes hanno sparato sei colpi di pistola. “Pat” ha tentato di scappare, ma i due killer lo hanno finito sul marciapiede di Earlwood, a Sydney. Il giorno dopo in un processo per omicidio, in tribunale sarebbe stata ascoltata un’intercettazione in cui Barbaro parlava con il boss di una banda libanese, i “Brothers for Life”.

Pur avendo sempre vissuto in Australia, Pasquale Barbaro era un pezzo da novanta della ’ndrangheta e un trafficante di droga. Il suo affare principale era l’ice (conosciuta anche come shaboo), una droga “etnica, tipica della comunità filippina”, per la quale Pasquale Barbaro stava rischiando una condanna a 20 anni. Il boss ucciso, infatti, era in libertà su cauzione. Arrestato per produzione e traffico di ice, era in attesa del processo fissato per dicembre.

“Pat” è stato ucciso come suo nonno (anche lui si chiamava Pasquale Barbaro) caduto in un agguato nel 1990 a Brisbane. E aveva lo stesso nome anche il cugino ammazzato a Melbourne nel 2003 assieme al boss Jason Moran. Lo zio (sempre Pasquale Barbaro), invece, sta scontando 30 anni di carcere per l’importazione nel 2009 di 4,4 tonnellate di ecstasy, 15 milioni di pasticche nascoste in 3000 barattoli di pomodori pelati provenienti dal porto di Napoli.

Tracce di quel traffico ci sono anche nelle carte della Dda di Milano che, alcuni anni fa, ha intercettato una conversazione ambientale poche ore dopo il sequestro del carico di droga nel porto di Melbourne a dimostrazione di come la ‘ndrangheta ha infiltrato tutti i continenti ma mantiene una regia unica e la testa in Calabria. In via Venezian nel capoluogo lombardo, in un appartamento affittato dai “santolucoti”, il narcos Bruno Pizzata parla con Francesco Strangio: “Si sono presi 200 chili di ‘bianca’ e tonnellate di pillole”. Australia chiama Milano. Ma Milano pensa calabrese.

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