A Palermo un professore di matematica della scuola media è stato picchiato dai genitori di un ragazzino di 12-13 anni che è stato mandato fuori dall’aula perché disturbava la lezione. A Rimini un nonno ha preso carta e penna per scrivere al preside, ai carabinieri e persino al presidente del Consiglio per denunciare il fatto che un professore dell’Isiss “Gobetti- De Gasperi” di Morciano di Romagna avrebbe ordinato al nipote di alzarsi in piedi e pronunciare la frase: “Io sono un ignorante”. In Sardegna, invece, una maestra della scuola primaria è stata assolta con formula piena dopo essere finita a processo rea di aver rimproverato un bambino di 7 anni per la mancanza di autonomia nello svolgere i compiti a casa.

Tre casi diversi con un punto in comune: si è rotta la fiducia tra genitori ed insegnanti, tra la scuola e la famiglia. So bene che affermare ciò è come scoprire l’acqua calda ma credo sia arrivata l’ora di farci qualche domanda e provare a darci qualche risposta oltre a ripetere ciò che è scontato.

Perché siamo arrivati a questi punti? Cosa è venuto a mancare? Che scuola è quella dove una mamma o un papà non hanno più la certezza di avere di fronte un professionista dell’istruzione e dell’educazione? Che scuola è quella dove i docenti non si sentono più un punto di riferimento per i genitori ma un facile bersaglio del primo che passa e si improvvisa pedagogista, psicologo, psicoterapeuta? Dov’è il ruolo del dirigente in tutto questo?

La scuola è tale quando possiamo parlare del “noi”, quando c’è una comunità scolastica ovvero quando nel processo di formazione sono coinvolti i bambini, i genitori, gli insegnanti, il dirigente, il collaboratore scolastico e il sindaco in quanto rappresentante di tutta la città o il paese. Quando uno di questi soggetti viene escluso o si esclude si crea un cortocircuito.

In Italia da tempo la scuola non è più vissuta come una comunità educante ma un luogo dove i genitori sono interpellati solo per riparare infissi e pavimenti o per partecipare a riunioni dove tutto è già stato deciso.

Ad escludere mamme e papà dal processo di formazione è stato il ministero dell’Istruzione, quello attuale e quelli degli ultimi anni: nessuno, infatti, ha avuto il coraggio di celebrare il funerale degli organi collegiali ove partecipano i genitori (consigli di classe, d’interclasse, d’istituto). E’ evidente a tutti che questi strumenti hanno fatto il loro tempo, vanno ristrutturati e vanno individuate nuove forme di reale partecipazione. Solo attraverso questa strada potremo ricreare un po’ di quel rapporto di fiducia che si è logorato.

In una classe c’è il genitore che vuole più compiti, quello che ne vuole meno, quello che vuole l’insegnante rigoroso, quello che ama il maestro che sposta la cattedra e non mette in fila i bambini due per due, quello che non può fare a meno di vedere i voti del figlio, quell’altro che apprezza il fatto che finalmente c’è un docente che non li dà.

Anche chi scrive ha dovuto far fronte alle più disparate situazioni e quest’anno per la prima volta ho scelto di fare riunioni alla presenza di genitori e bambini, prendendo insieme delle decisioni riguardo i compiti, il metodo di studio. Non solo. Ai genitori dei miei alunni rivolgo sempre un invito: venite in classe, state con noi un giorno. La scuola deve diventare una casa di vetro dove tutti possono vedere ciò che avviene.

Restano un paio di altre questioni.

La prima: perché quei due ragazzi disturbavano? Stiamo parlando di dodici tredicenni. Non conosco il caso nello specifico ma ogni volta che due alunni durante una mia lezione si distraggono, disturbano mi chiedo dove non sono riuscito a interessarli. Una cosa dev’essere chiara: la nostra scuola, soprattutto la media, non piace ai nostri ragazzi. Non lo afferma chi scrive ma i risultati di una ricerca della fondazione “Giovanni Agnelli”: A 11 anni il gradimento dichiarato è già più basso di quello dei ragazzi tedeschi, inglesi o francesi. A 13 anni, si rileva un calo di entusiasmo generalizzato in tutti i paesi, ma in Italia questo sembra essere più pronunciato e coinvolgere in modo analogo ragazzi e ragazze. A questo va aggiunto un dato non trascurabile ovvero quello che abbiamo i docenti più anziani d’Europa e che molti di loro non hanno mai ricevuto una formazione psicologica o pedagogica.

La dico in altre parole: non basta aver preso 110 e lode in matematica o in lettere per insegnare.

La seconda: è scontato dire che nessun genitore dovrebbe mai alzare le mani nei confronti di un insegnante. Dall’altro canto la “mamma dei cretini è sempre incinta”. Non possiamo però permettere che gli insegnanti continuino ad essere delegittimati, bistratti, considerati dei pezzenti. Avete mai sentito qualcuno che alza le mani su un cardiologo? Avete mai letto di qualcuno che si permette di andare a dire al medico o all’avvocato quello che deve fare denunciandolo magari se ammonisce il paziente?

Se un legale o un medico non ti sta bene, non lo meni ma lo cambi. Così dovrebbe accadere anche con la scuola riconoscendo, in positivo o in negativo, il ruolo di chi insegna.

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