Si torna a discutere di un’uscita dell’Italia dall’euro. Ma tutti i discorsi che si leggono e sentono trascurano una questione ineludibile, chiarissima a chi ha i piedi per terra, anziché svolazzare nell’iperuranio delle discussioni accademiche dei macroeconomisti.

Il punto non è se in astratto sarebbe preferibile per l’Italia avere ancora la lira. La moneta unica c’è, l’Italia ne fa parte e da qui bisogna partire.

Verso l’alto o verso il basso. L’uscita di un paese dall’euro si prospetta come qualcosa di devastante, salvo che sia la Germania a sbattere la porta. Infatti essa ne uscirebbe dall’alto, cioè con forti attese di rivalutazione della nuova moneta. Tutti si affretterebbero a versare in banca i contanti che hanno, per vederseli cambiare nella nuova valuta. Così capitò nel 1990, allorché la cosiddetta Ostmark della Germania Orientale venne convertita nella Deutsche Mark.

L’Italia uscirebbe invece verso il basso. Ciò è fuori discussione: l’argomento più citato a favore del ritorno alla lira è proprio la possibilità di svalutazioni.

Il precedente della Grecia. Ma oltre alle ragionevoli previsioni a priori, c’è anche un’esperienza concreta. In Grecia bastò la percezione di un possibile il ritorno alla dracma, per provocare prelievi massicci di contanti in banca, trasferimenti di capitali all’estero in modo lecito o illecito, problemi di cassa per la finanza pubblica ecc. Tutto ciò accompagnato per es. da mancanza di soldi per gli ospedali, con conseguenze che è facile immaginare.

Per bloccare il deflusso di denaro, furono chiuse le banche per 20 giorni e riaperte solo con l’introduzione dei cosiddetti capital controls, tuttora in vigore: tetto di 60 euro al giorno per i prelievi in contanti, fortissime restrizioni per i pagamenti all’estero ecc.

Prospettive per l’Italia. Tutto ciò è ignorato o taciuto da chi propugna il ritorno alla lira. Isolato, ma sensatissimo è il commento di Lorenzo Codogno, già direttore generale del Tesoro, che afferma: “Finché è un dibattito tra accademici non accade nulla, ma appena l’ipotesi [di uscita dall’euro] venisse anche lontanamente presa in considerazione da qualche politico […] si scatenerebbero corse agli sportelli e, a cascata, i default di debiti sovrani e privati” (il Fatto Quotidiano, 11-9-2016).

Una volta presentata una proposta di legge sul ritorno alla lira con prospettive di approvazione, la frittata è fatta. Gli italiani correrebbero a svuotare i conti, prelevando banconote in euro. In tal modo preserverebbero il valore dei propri risparmi, sottraendoli alla conversione nella nuova-vecchia divisa. Analogo considerazioni varrebbero per mezza Europa, nella strampalata prospettiva di un Euro 1 e Euro 2 (Joseph Stiglitz in un suo recente libro).

L’euro non è eterno. Certo che l’euro, come tutte le umane cose, finirà. Il punto è un altro. Chi propone l’uscita dall’euro, deve fornire almeno uno straccio di piano operativo per affrontare il periodo transitorio. Appena s’incominciasse a prenderla seriamente in considerazione, in Italia verrebbe proiettato lo stesso film, girato in Grecia. A fronte del disastro scatenato, come potrebbe il governo non deflettere dalla sua decisione? E cercare di raccogliere e rincollare i cocci?

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