“In Italia mi affidavano solo mansioni di base, a volte sembrava quasi che non mi considerassero un essere pensante”. Giulio Contini si racconta dal suo ufficio vista mare a Barcellona, città in cui vive da due anni. Nato a Roma 37 anni fa, dopo una laurea in economia aziendale e un master in internazionalizzazione delle imprese presso l’Istituto del Commercio estero, riesce a guadagnarsi un posto da export manager per lo Ied, che lo porta a viaggiare a lungo in America Latina. I contratti, però, erano sempre a progetto, così Giulio decide di provare un concorso per un posto in banca e lo vince. A poco più di trent’anni ha finalmente ottenuto il tanto agognato posto fisso.

Un bel colpo, pensa lui all’inizio, eppure le cose non sembrano andare per il verso giusto: “Avevo molta gavetta alle spalle, soprattutto all’estero, e parlavo cinque lingue – racconta -, eppure tutti mi consideravano ancora un ragazzo”. La voglia di realizzarsi a livello professionale comincia a farsi sentire: “Quando andavo all’estero vedevo persone della mia stessa età che ricoprivano ruoli di grande responsabilità – ricorda -, così ho realizzato che se fossi rimasto in Italia non avrei mai avuto l’opportunità giusta per crescere”.

Giulio inizia a guardarsi intorno e un giorno s’imbatte in un annuncio interessante: “Ho letto di una posizione aperta come direttore internazionale per la Escuela Universitaria de Hotelerìa y Turismo di Barcellona, un’università che si occupa di gastronomia e hospitality management – racconta –, così ho mandato la mia candidatura, ho fatto il colloquio e mi hanno preso”. E nella città spagnola sembra aver trovato davvero la sua dimensione: “In questi due anni sono successe molte cose, ho firmato accordi di partnership con ministri e università di tutto il mondo – sottolinea – e grazie al sostegno del mio team siamo anche riusciti a raddoppiare il numero di iscritti stranieri all’università”. Un lavoro che lo tiene molto impegnato, certo, ma “se fai una cosa che ti realizza non ti senti mai stanco psicologicamente”, ammette.

Un rammarico, però, ce l’ha anche lui: “Mi chiedo spesso quando potrò tornare a rappresentare l’Italia nel mio settore, quello dell’international education”, spiega. Già, perché il nostro Paese ancora fatica a prendere dimestichezza con queste parole: “In nazioni come la Francia, la Germania e il Canada c’è un ente pubblico che si occupa della promozione delle scuole e delle università per attrarre studenti stranieri e questo genera diversi punti di Pil – sottolinea -, mentre in Italia questo lavoro è considerato ancora marginale”.

E non c’è niente di più sbagliato: “Una ragazzo straniero che si iscrive nella tua università è un capitale notevole, non solo perché paga la retta, ma anche perché con il suo talento può diventare un valore aggiunto per il Paese”. In Italia, conclude Giulio, manca questa visione d’insieme: “Abbiamo difficoltà a trasformare questo settore in un sistema e ci limitiamo a diffondere questo tipo di iniziative al mondo dell’arte e del design, tralasciando tutto il resto. Ma il potenziale del nostro Paese è ben più grande”.

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