Ben 312 milioni 355 mila 662 euro. Più 89 centesimi. Ecco il costo, vero, del ponte-che-non-c’è, il fantasma sullo Stretto che Matteo Renzi vorrebbe resuscitare all’insaputa del suo stesso ministro alle Infrastrutture, Graziano Delrio. Lo ha calcolato Vincenzo Fortunato, ex capo di gabinetto dei ministri Pietro Lunardi e Antonio Di Pietro, super-mandarino ministeriale per un quarto di secolo e oggi commissario liquidatore della Sdm, società Stretto di Messina (a 160 mila euro l’anno ),  battendo cassa al ministero dell’Economia (proprietario del 100 per 100 dell’Anas, che a sua volta possiede l’81,84 per cento di SdM) e a quello dei Trasporti. Che hanno provato a respingere il conto in tutti i modi. Per la gioia di periti e avvocati.

FUORI I SOLDI La SdM è in liquidazione dal 2013, da quando cioè il governo di Mario Monti ha deciso di abbandonare il mega-progetto molto caro, tra 2001 e 2012, al cuore di Silvio Berlusconi: in 32 anni, dal 1981 (anno di costituzione della società di scopo, tutta a capitale pubblico) al 2013, i cosiddetti  «oneri sostenuti per lo sviluppo del progetto definitivo dell’opera» hanno sfondato quota 300 milioni, che ora gli azionisti di SdM – oltre all’Anas c’è Rfi, Rete ferroviaria italiana, con il 13 per cento, e il resto è diviso tra Regione Calabria e Regione Sicilia  – vogliono farsi ridare dallo Stato insieme ad altri 31 milioni come indennizzo. Totale del conto presentato agli italiani, al netto degli anticipi già ottenuti in conto impianti e costi di ricerca (18 milioni circa): 325 milioni 750 mila 660 euro e 19 centesimi. O così almeno si legge nella relazione al bilancio 2015 approvata il 28 aprile dagli azionisti.

CORTE DEI MIRACOLI Ma a chi tocca tirare fuori i soldi? Compresi quelli per i contenziosi, naturalmente? Dopo la «caducazione» dei contratti per la costruzione del ponte, infatti, il governo ha offerto al general contractor Eurolink (un’associazione di imprese che oltre alla capofila Impregilo comprende la giapponese Ishikawajina, la spagnola Sacyr e altre imprese italiane), e al project management consultant, cioè Parsons Transportation Inc., un indennizzo per la perdita del contratto pari al 10 per cento del «valore delle prestazioni effettuate»: 8,5 milioni per Eurolink e 1,9 milioni per la Parsons. Figurarsi! I due consorzi hanno rifiutato l’obolo, facendo causa a SdM, Mit e Presidenza del Consiglio e chiedendo 700 milioni di risarcimento (più interessi e spese), l’altro 90 milioni. A sua volta, la SdM ha bussato alla porta dei ministeri di riferimento, chiedendo una manleva che la sollevasse, in caso di sconfitta, dall’obbligo di cacciare i soldi. La sentenza è prevista entro marzo, salvo rinvio alla Corte costituzionale su richiesta della Corte di Giustizia.

FENICE E CONTENTI  Un altro contenzioso è in corso con l’Ati Fenice, a cui erano stati affidati i servizi di «monitoraggio ambientale e sociale»: per incassare l’indennizzo dovuto, poco più di un milione, la Fenice ha dovuto ricorrere a un decreto ingiuntivo, che dopo un lungo tira e molla a fine 2015 è stato pagato dal Mit. Ma la causa per interessi e spese è ancora in corso. E a ramazzare i soldi per coprire le spese non basta certo la svendita dei beni mobili: proprio in questi giorni è in corso la vendita degli apparati delle reti di monitoraggio ambientale in Calabria e in Sicilia, dopo che nei mesi scorsi sono state cedute altre attrezzature all’Anas, al Cnr e all’istituto di vulcanologia.

POCO FORTUNATO Dal sogno all’incubo. E poi c’è il conticino di cui si diceva all’inizio: i 312 milioni per gli oneri di progettazione (più i 31 di indennizzo) che spetterebbero a SdM per le attività svolte «in adempimento degli obblighi di convenzione e non più fruibili in conseguenza della caducazione della concessione». Fortunato ha bussato a quattrini nell’aprile del 2013, poi ancora in novembre. Nel febbraio 2014 i capi di gabinetto del Mit e del Mef, come il vice-segretario generale di palazzo Chigi, hanno risposto picche su tutti i fronti. Niente indennizzo, niente manleva, niente garanzie.

RESA DEI CONTI E quindi di nuovo ecco la domanda: chi pagherà il conto? Quei 321 milioni di euro significano «10 milioni per ognuno dei 32 anni di vita della società. In cambio di niente», denuncia Laura Bottici, questora M5S del Senato, sulla sua pagina facebook. E apre il fronte sui contenuti su quei «32 anni di sprechi e scandali»: «Mi sembra giusto pretendere che questo conticino venga presentato a chi su quel ponte-fantasma ha lucrato. E non solo politicamente, come Silvio Berlusconi».

FACCIAMO L’INCHIESTA La Bottici non ha peli sulla lingua nel fare esempi di miracolati dal ponte-fantasma: come «l’ex presidente di SdM, Pietro Ciucci, che essendo (dal 2006) anche presidente, amministratore delegato e direttore generale dell’Anas era il boiardo più strapagato della Repubblica: 900 mila euro l’anno, 75 mila al mese». E, come ha raccontato anche ilfattoquotidiano.it  è andato in pensione nel 2013 con una liquidazione da 1.825.745 euro . Poi ci sono «gli 11 membri del cda dello Stretto che si erano triplicati gli emolumenti: dai 526 mila euro stabiliti nel 2002 a un milione 616 mila euro nel 2006» E ancora «la Cisl, proprietaria dell’immobiliare Fosso del Ciuccio, che a SdM affittava una sede extralusso a via Po: 3.600 metri quadrati a 75 mila euro al mese». Risultato? «Altro che risuscitare il ponte! Forse una seria commissione d’inchiesta per capire cosa c’è dentro  (e dietro) quel conto stratosferico, seguita da una bella richiesta di danni, sarebbe un’idea migliore».

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