Ci sono giornalisti onesti e altri disonesti, bravi e meno bravi, supini al potere o con la schiena dritta. Come lo sono i medici, gli ingegneri, gli idraulici, i macchinisti. Ed è possibile che la nostra personale opinione corra il rischio di esondare rispetto alla cronaca nuda e cruda. Ed è anche vero che il giornalista quando racconta un fatto, se anche lo fa con onestà e con completezza, produce spesso una verità approssimata, non sempre incontrovertibile. La faziosità è una colpa grave. Che però fa il pari con l’accusa capovolta: anticipare nel commento a una notizia il giudizio di inaffidabilità, di partigianeria. Ce ne accorgiamo spesso soprattutto noi del Fatto Quotidiano, incaprettati – per la sola ragione che questo giornale ha un’idea forte e antagonista del potere – a un ruolo, un’idea, una simpatia.

Dico questo perché penso che Grillo e tutti i militanti del Movimento cinque stelle abbiano ogni diritto di contestare gli eccessi, documentarli, criticarli. Quel che non si deve fare è utilizzare un tono e un linguaggio violento. Quel che non si può fare, che né Grillo né i suoi compagni possono immaginare possibile, è l’idea che l’unica strada sia l’autorappresentazione delle proprie gesta.

I giornalisti avranno ecceduto (io penso di sì) a raccontare a volte con un’enfasi da fine del mondo la crisi della giunta capitolina, le divisioni tra la Raggi e il direttorio, i problemi degli assessori, quelli di Di Maio, la vita privata della sindaca. Ma se non ci fossero stati i giornalisti cosa si sarebbe conosciuto di una stasi amministrativa che dura oramai da tre mesi?

Poco più di niente.

E siamo sicuri che sarebbe stato tutto bello anzi bellissimo, come assicura Virginia?

La Repubblica tradita

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