Per qualche analista, la campagna elettorale è stata quasi soporifera. Nessun battibecco, molte proposte, toni moderati. Eppure questa “normalità” ha ricevuto la benedizione di molti. Oggi i Paesi Baschi sono chiamati a votare, e lo fanno decisi a non vivere nel passato. Dopo decenni di sangue, terrore e paura, gli elettori e i candidati vivono una nuova tappa politica. La questione dell’indipendenza, in un momento in cui la Catalogna fa pressione per la secessione con più forza che mai, qui rimane ai margini. E lo fa proprio cinque anni dopo la fine della violenza del gruppo terrorista Eta, che ha segnato per decenni la vita sociale e politica della regione.

INDIPENDENZA ADDIO – “L’indipendenza è un termine che appartiene al passato” ha detto qualche giorno fa l’attuale presidente del governo basco, il nazionalista Iñigo Urkullu, che secondo i sondaggi potrebbe essere rieletto. Come lui, che con il suo Pnv rappresenta l’ala moderata di un vecchio richiamo alla secessione, la maggior parte dei cittadini: secondo l’ultimo sondaggio del quotidiano El Correo de Bilbao solo il 18% dei baschi ha oggi aneliti separatisti. Forse per questo, durante la campagna elettorale, non c’è stato alcun messaggio di rottura con Madrid, neppure da parte degli indipendentisti di EH Bildu, il partito ultrasecessionista di sinistra. Le uniche parole che si sono sentite sono state “nuovo status”, più autogoverno e soprattutto diritto a decidere il futuro politico della regione.

AL VOTO SENZA ETA – In quella che sembra essere la campagna elettorale meno secessionista nella storia dei Paesi Baschi, è difficile non chiedersi cosa sia successo in questi ultimi anni. “Semplicemente la democrazia spagnola e una parte importante della società basca, incluso il nazionalismo moderato e di governo, hanno sconfitto il terrorismo di Eta, che per cinquant’anni ha difeso i principi e gli obiettivi nazionalisti seminando sangue e distruzione. Questa è la grande differenza”. Francisco Lleira Ramo, politologo all’Università dei Paesi Baschi, fondatore e direttore di Euskobarometro, osservatorio di opinione pubblica e analisi politica, conosce ogni pezzo del puzzle che compone uno dei territori che per decenni è stato segnato dalla violenza come pochi luoghi in Europa. “Sono stato vittima dell’Eta perché in qualità di professore universitario esprimevo pubblicamente la mia opinione sul terrorismo e partecipavo alle mobilitazioni di sostegno per le vittime e in difesa della democrazia. Ho vissuto con la scorta per più di dieci anni”, racconta a ilfattoquotidiano.it. “Alla fine sono stato costretto ad autoesiliarmi: la mia unica preoccupazione era evitare che la mia famiglia subisse delle conseguenze a causa delle mie idee. Ho ricordi agrodolci e ho molta rabbia repressa. Oggi la minaccia e il terrore sono spariti, ma c’è molto lavoro da fare per sradicare atteggiamenti collusivi col terrorismo e additarli come responsabili di posizioni passate e presenti”.

L’Eta ha deposto le armi nell’ottobre del 2011, mettendo fine a una campagna del terrore che ha ucciso 829 persone. Il gruppo però non si è mai sciolto formalmente e non ha mai consegnato le armi. Per questo molti affermano che il conflitto socialmente superato, non lo è del tutto a livello politico. “Adesso i candidati possono muoversi e difendere le proprie idee in strada senza timore, anche se ci sono ancora settori ed episodi violenti. Il danno di aver espulso strutture socialiste e popolari da molte zone della regione è ancora presente”, continua il politologo.

IL SORPASSO DI PODEMOS – Per oltre trent’anni il secessionismo nei Paesi Baschi è stato molto più forte che quello catalano. Ora, come spiega anche Lleira, la stanchezza dei cittadini, i successi dell’attuale autogoverno, le conseguenze della globalizzazione e un cambio generazionale, che ha portato una visione più cosmopolita, dettano nuove regole. Perfino l’unico partito che lotta per la creazione di uno stato basco, EH Bildu, rischia di perdere voti. A giovarne, così com’è accaduto nelle elezioni politiche di dicembre 2015 e giugno 2016, potrebbe essere Podemos. “L’unica incognita è di quanti voti stiamo parlando e se questa cifra sarà sufficiente per ripetere il sorpasso”, dice Francisco Lleira Ramo. Podemos diventerebbe la seconda forza politica, mentre i principali partiti, Psoe e PP, non prenderebbero più di sette od otto seggi ciascuno, su 75. Una storia che, questa sì, continua a ripetersi da decenni.

@si_ragu

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