All’Avvocatura dello Stato gonfiano il petto. Per l’ordinanza appena sfornata dal Consiglio di Stato. Grazie alla quale due capolavori del pittore veneziano del 1700 Francesco Guardi,  ‘Andata del Bucintoro verso San Nicolò al Lido’ e ‘Ritorno del Bucintoro verso Palazzo Ducale’, valore certificato almeno 6 milioni di euro, esportati irregolarmente a Londra, dovranno essere restituiti all’Italia. I magistrati di Palazzo Spada hanno infatti respinto l’appello cautelare della Taggia, una società con sede in Portogallo che ne risulta proprietaria e che li detiene attualmente in Inghilterra, confermando la revoca della licenza di esportazione a suo tempo decisa dal ministero dei Beni culturali. Gioisce l’Avvocatura ma grande soddisfazione anche ai vertici del Mibact guidato da Dario Franceschini. Con il rientro dei quadri di Guardi, infatti, prosegue il trend virtuoso che da qualche tempo caratterizza il recupero delle opere d’arte illecitamente esportate. Solo nel 2015 risultano rientrati nei nostri confini beni artistici per un valore complessivo di ben 500 milioni di euro.

FALSI DOCUMENTI Quella del trasferimento a Londra delle due tele, risalenti alla seconda metà del Settecento e di cui è autore uno dei massimi esponenti della pittura veneziana preromantica, è una vicenda che va avanti da anni.  Già nel 2012 ebbe inizio un procedimento penale presso il Tribunale di Roma con imputazioni per associazione a delinquere finalizzata all’esportazione di opere d’arte, falso e ricettazione. In dubbio la veridicità della documentazione relativa ai dipinti: secondo l’accusa falsificata per superare più facilmente i controlli e portare le opere fuori dall’Italia. Nel 2006 i quadri vennero infatti presentati come di autore sconosciuto e con una patina ne fu alterata la resa pittorica. Il valore dichiarato, inoltre, fu appena di 600mila euro, anche se la Taggia poco prima li aveva pagati 6 milioni di euro. Per di più, le due opere erano già state portate a Londra quindici giorni prima che venisse rilasciata la licenza di esportazione. Tante, dunque, troppe anomalie. Anche se  il processo si concluse con una sentenza di prescrizione dei reati contestati.

TAGGIA E SPADA Adesso l’Avvocatura dello Stato sta percorrendo due strade per il recupero definitivo dei capolavori del Guardi. La via penale, presentando appello contro la sentenza del Tribunale di Roma che nel dichiarare la prescrizione non si mai è pronunciato sulla richiesta di confisca. E quella amministrativa, che con l’ordinanza del Consiglio di Stato ha segnato un primo, importante traguardo. Palazzo Spada, confermando la decisione in primo grado del Tar, ha dato sostanzialmente ragione al ministero dei Beni culturali che aveva revocato la licenza di esportazione. Il ricorso della società Taggia, che chiedeva di sospendere l’atto del ministero, è stato respinto. E poiché il provvedimento di annullamento della licenza ha effetto retroattivo, quei quadri devono tornare in Italia: sono stati portati all’estero illecitamente e la proprietà non ha più titolo per trattenerli fuori dai confini italiani.

IN NOME DELLE LEGGI La nostra legislazione in materia è d’altra parte molto chiara. Dalla riforma Bottai fino all’attuale Codice dei beni culturali del 2004, in conformità con la normativa europea, le opere d’arte esportate o trafugate illecitamente devono essere restituite. Un sistema che sembra funzionare bene. Ne è convinta per esempio la presidente della commissione Cultura della Camera dei deputati, la dem Flavia Piccoli Nardelli: “Lo Stato italiano”, spiega a ilfattoquotidiano.it, “da anni opera per il recupero dei beni culturali sottratti o esportati illegalmente. Sono numerose le convenzioni europee e internazionali che sono state sottoscritte. Da quella dell’Aja del 1954 a quella dell’Unesco del 1970, fino a quella fondamentale dell’Unidroit del 1995.  Queste direttive insieme ad altre sono legge dello Stato attraverso lo strumento fondamentale del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Strumenti efficaci che stanno adesso fornendo discreti risultati”.

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