C’era la rete dei mediatori, quasi tutti cittadini marocchini. Era nelle loro mani la gestione dei passaporti sottratti all’Istituto poligrafico dello Stato e fatti girare sul mercato mondiale clandestino dei documenti falsi. Destinazioni da brivido: Turchia, Marocco, Tunisia. E i paesi dove gli attentati di Daesh hanno fatto centinaia di vittime, la Francia e il Belgio. E, all’inizio della catena, c’era l’operaio italiano oppresso dai debiti di gioco, in grado di far sparire centinaia di passaporti destinati al macero, sottratti mentre operava sulla trituratrice. Un sistema talmente ben oliato da far scattare l’allarme a livello mondiale sul quel giro di documenti italiani ormai conosciuto da tempo.

La polizia di frontiera ha lavorato per due anni ad un’inchiesta che fin da subito è apparsa delicata. L’allarme era scattato quando in alcuni aeroporti in Italia e in Turchia erano stati fermati migranti con in mano quel passaporto decisamente curioso: materialmente vero, ma con il numero di serie che risultava appartenere ad uno stock spedito dalla Questura di Milano alla Zecca dello Stato per la distruzione, a causa del chip biometrico difettoso. Un pacco consistente, esattamente 4000 libretti, che sulla carta risultavano macerati. Il primo passo delle indagini ha permesso di individuare i tre funzionari coinvolti: Massimo Salomone, finito oggi agli arresti domiciliari, operaio accusato di aver materialmente sottratto, almeno in un’occasione, un numero ancora imprecisato di passaporti dal reparto di distruzione dei documenti difettosi (il Gip non ha però riconosciuto la sua partecipazione all’organizzazione criminale); Maria Arrigale, funzionaria del Mef, e Achille Pivetta, responsabile dei magazzini, raggiunti da una misura più attenuta di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Mancava il passaggio chiave, il link con il mondo criminale della rete dei falsari. Il contatto avviene all’interno del sottobosco romano, dove due italiani fanno conoscere all’operaio della Zecca dello Stato un marocchino specializzato nel far girare ogni tipo di documento in tutto il mondo, che, secondo le indagini, agisce in società con l’algerino Mohamed Salah Chouli. Da qui parte il flusso di quei passaporti che finiranno nelle tasche di alcuni siriani bloccati in Turchia mentre cercavano di raggiungere l’Olanda. Ad aggravare ancora di più il quadro sono i numeri dei documenti destinati alla distruzione che potrebbero essere stati – almeno in parte – intercettati dai falsari: decine di migliaia, tra passaporti, carte di identità e patenti.

Il marocchino coinvolto nell’inchiesta – di cui non è stato al momento rivelato il nome – era particolarmente attivo nel vendere documenti italiani in tutto il mondo, utilizzando forme di comunicazione come whatsapp, viber e skype. Nelle telefonate intercettate dalla Polizia di frontiera la sua attività appariva come un vero e proprio supermarket delle identità false, con “giubbini blu” – le nuove carte d’identità elettroniche, di colore azzurrino – “guide”, per indicare le patenti e “mattoni” come nome in codice per i passaporti. C’era anche la possibilità per i clienti di scegliere la taglia, da 32 o 48 pagine. Il prezzo variava, ma difficilmente si allontanava dai 1000 euro a documento.

Al momento l’ipotesi di aver in qualche maniera favorito le organizzazioni terroristiche non è contestata dalla Procura di Roma, che ha diretto le indagini. Le informazioni raccolte in questa fase ipotizzano l’utilizzo dei documenti falsificati o sottratti all’Istituto poligrafico dello Stato da parte di migranti illegali. La vastità dei contatti del gruppo guidato dai due cittadini magrebini è però un pessimo segnale. L’ordinanza di custodia cautelare segnala la presenza di “acquirenti abituali di documenti italiani falsificati non identificati”, dei quali si conosce al momento solo l’alias. E la lingua parlata, l’arabo.

Aggiornamento – 17/05/2021
Per correttezza e completezza dell’informazione, segnaliamo che il 20 gennaio 2020 il gip del Tribunale di Roma ha disposto l’archiviazione nei confronti di Maria Arrigale e di Achille Pivetta, per carenza dell’elemento soggettivo, in ordine ai reati contestati, così riconducendo le condotte dei due funzionari pubblici, nell’alveo della colpa, non penalmente rilevante, ma sanzionabile in sede disciplinare, avendo gli stessi mancato ai doveri del proprio ufficio, stando a quanto scritto dal Gip nel provvedimento di archiviazione.

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