Nove camion incendiati in una notte a Rosarno. Il sospetto degli inquirenti è che ci sia la ‘ndrangheta dietro il rogo che ha interessato i mezzi per la raccolta dei rifiuti urbani, di proprietà della “Camassa Ambiente”, nel territorio dominato dalle cosche Pesce e Bellocco. I carabinieri non escludono comunque nessuna ipotesi per quanto riguarda il movente che ha spinto qualcuno a forzare la serratura d’ingresso del parcheggio mezzi della “Camassa”, cospargere i camion di benzina e dargli fuoco.

Le indagini mirano in primo luogo ad accertare se obiettivo dell’attentato sia la “Camassa Ambiente” o, indirettamente, il Comune di Rosarno dove, dalle ultime elezioni comunali, si è insediato un nuovo sindaco, Giuseppe Idà, eletto con la lista civica “Cambiamo Rosarno”. La “Camassa Ambiente” è una società pugliese che ha in appalto il servizio in diversi Comuni della Piana di Gioia Tauro. Oltre a Rosarno, infatti, la ditta si occupa della raccolta dei rifiuti a Cinquefrondi, San Giorgio Morgeto e San Ferdinando.

Proprio in quest’ultimo paese, a cavallo tra il 2013 e il 2014 la “Camassa Ambiente” aveva partecipato a una gara d’appalto finita al centro di un’inchiesta antimafia. Il nome della ditta pugliese, non indagata, era spuntato in un’informativa dell’inchiesta “Eclissi” che ha portato all’arresto del sindaco di San Ferdinando Domenico Madaffari.

Un capitolo di quell’inchiesta è stato dedicato all’appalto dei rifiuti, un settore su cui la ‘ndrangheta ha avuto sempre interessi e per il quale, “ad un certo punto, –  scrissero i magistrati – il ‘patto’ tra le ndrine della locale di San Ferdinando ebbe a mutare. La ragione è ancora non del tutto chiara, essendo però certo che dietro le pressioni della ditta Camassa che voleva assicurarsi l’appalto a tutti i costi e nonostante le anomalie di cui ha parlato il sindaco vi fosse la spinta degli ‘ndranghetisti”. La Camassa, va precisato, non ha subito alcuna conseguenza giudiziaria.

Anche in quell’occasione, a San Ferdinando fu incendiato un autocompattatore della ditta che, fino ad allora, si occupava della raccolta dei rifiuti. Erano i giorni in cui l’ex sindaco Madaffari aveva bocciato l’offerta della “Camassa Ambiente” e dalle intercettazioni era emerso, secondo gli inquirenti, il ruolo di equilibrista del primo cittadino, ancora agli arresti domiciliari.

Nella sua Mercedes i carabinieri avevano piazzato le cimici e il 4 maggio 2014 avevano registrato la conversazione intrattenuta con l’ex assessore del Comune di Rosarno Michele Fabrizio. A lui, Madaffari “raccontava – scrivono i magistrati – delle pressioni ricevute dalla ditta Camassa Ambiente, tramite Aiello Salvatore che ne era il responsabile, affinché le venisse aggiudicato l’appalto di raccolta rifiuti, rigettato a causa del costo eccessivo e dei prezzi praticati dall’azienda, ben superiori alle richieste relative agli altri Comuni della Piana di Gioia Tauro. Madaffari raccontava di aver riferito le sue perplessità al Prefetto Piscitelli e da lui consigliato di ‘fare il bene della comunità’ e a parlare con esponenti delle Forze dell’Ordine e di aver respinto l’offerta della Camassa Ambiente, nonostante Aiello, per dissuaderlo, avesse promesso l’assunzione di operai graditi al sindaco. Aggiungeva che Aiello era ‘vicino’ a Pantano Pino e che le indagini degli investigatori si stavano orientando per accertare se ‘dietro’ l’azienda Camassa in sostanza vi fosse la cosca Pesce, in forza del legame parentale di Pesce Giuseppe detto ‘Pecora’ con Pantano Giuseppe”.

Un racconto dettagliato del contesto in cui si è svolto l’appalto del 2013 che vide le cosche modificare la spartizione degli affari nel piccolo comune della Piana. Un racconto al quale l’ex assessore Fabrizio replicò: “Dove c’è immondizia c’è mafia”.

Allo stato non risulta alcun collegamento tra quanto avvenuto a San Ferdinando e i nove camion incendiati la scorsa notte a Rosarno, una delle cittadine a più alta densità mafiosa dove anche la spazzatura è un business della cosca Pesce. I responsabili della “Camassa Ambiente” sono stati sentiti dai carabinieri ma pare non abbiano fornito elementi utili alle indagini. Intanto, la Procura di Palmi ha aperto un’inchiesta che, con ogni probabilità, sarà trasferita alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

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