A Pozzallo (Ragusa), città di frontiera sottoposta a una forte pressione migratoria, va in scena il festival Sabir, una quattro giorni di incontri e dibattiti dedicati al tema immigrazione, “per tenere viva una rete euro-mediterranea per i diritti”, spiega Walter Massa, responsabile immigrazione dell’Arci. L’iniziativa è stata il palcoscenico per criticare duramente le politiche di accoglienza dell’Italia e dell’Unione europea. A partire dall’istituzione degli hotspot, quei centri di raccolta e identificazione dove vengono condotti i migranti dopo il salvataggio in alto mare. “Un sistema con cui i governi provano ad aggirare la legge – sostiene il vicepresidente di Arci Filippo Miraglia –. Luoghi in cui con criteri a dir poco discutibili si fa la distinzione fra buoni e cattivi e cioè fra chi può fare domanda di asilo e chi no”. Centri che, secondo l’organizzazione, sono dei semplici luoghi di carcerazione illegale come i Cie, “di detenzione coatta che può durare anche più di un mese”, specifica la presidente Francesca Chiavacci. Cosa non va esattamente? Per l’Arci sono i criteri: “Subito dopo lo sbarco le autorità italiane somministrano agli stranieri un questionario in base al quale si stabilisce se hanno i requisiti per presentare richiesta di protezione internazionale. Peccato che quel formulario tenga conto solo dei paesi di provenienza e non delle storie individuali”. Anche il migration compact, il piano presentato da Matteo Renzi in sede europea per far fronte ai flussi migratori, non piace. “Ricalca in pieno gli accordi con la Turchia per sigillare la rotta balcanica: soldi in cambio del blocco dei flussi esternalizzando l’accoglienza a paesi spesso non democratici. Anziché spendere denaro per finanziare le dittature, l’Europa dovrebbe investire nel salvare la vita alle persone”, sostiene Miraglia  di Lorenzo Galeazzi

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Roma, attivisti movimento casa in sciopero della fame: “Sgomberi e manganellate non risolvono i problemi”

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