Giuseppe l’ho accompagnato io al concorso, a 18 anni. C’ero io il giorno del primo incarico. Mi è stato restituito in una cassetta di legno nella stiva dei bagagli di un aereo. Mio figlio non è in vendita, non accetto soldi. La sua vita non è quantificabile. Se mi ridanno mio figlio vivo, mi ritiro dal processo”. Adele Tusa lotta da tre anni per avere verità e giustizia per suo figlio Giuseppe, uno dei militari della Capitaneria di porto di Genova vittima del crollo della Torre Piloti del Molo Giano, provocata dall’urto del cargo Jolly Nero. Quella notte, era il 7 maggio 2013, morirono 9 persone. Adele ha iniziato a studiare, ha letto le carte, non perde un’udienza del processo. Vuole capire. E chiede che “emergano tutte le responsabilità”, non solo quelle per le quali sono imputati il comandante della nave Roberto Paoloni, il pilota Antonio Anfossi, il primo ufficiale Lorenzo Repetto, il direttore di macchina Franco Giammoro, il comandante d’armamento Giampaolo Olmetti, tutti accusati di omicidio colposo plurimo, attentato alla sicurezza dei trasporti e crollo di costruzioni. Le indagini sull’incidente, probabilmente provocato da un’avaria ai motori del Jolly Nero – non la prima, sospetta la procura ligure –  sono state spezzettate in tre filoni. La seconda riguarda la costruzione della torre, mentre l’ultima, emersa poche settimane fa, mira a chiarire anche se le certificazioni rilasciate dal Rina, il Registro navale italiano, all’armatore Ignazio Messina fossero o meno in regola.

Signora Tusa, un processo è iniziato. Altre due indagini continuano. Cosa chiede?
adeleFaccio io una domanda: perché alcune cose emergono solo adesso? Certi aspetti li ho sottolineati tre anni fa durante un’intervista al Tg2. Non perché me fossi una veggente o avessi inventato qualcosa. Perché mi sono documentata e, non fidandomi di nessuno, ho letto oltre duemila pagine di atti.

Si riferisce alle presunte responsabilità del Rina nel rilasciare i certificati al Jolly Nero?
Guardi, le navi dell’armatore Messina hanno avuto oltre 70 episodi di incidenti e avarie. Chi ne ha autorizzato la navigazione? Qualcuno ha rilasciato quelle certificazioni. Il perito della procura è molto chiaro: il Jolly Nero non meritava le certificazioni di sicurezza. A me non frega nulla della nave, voglio sapere chi ha rilasciato le certificazioni. Erano carrette, c’erano state anomalie tecniche e omissioni sul giornale di bordo. Le responsabilità partono da lì. Nonostante sapessero degli incidenti, rilasciavano certificazioni. Più volte quella nave è stata controllata anche dalla Capitaneria, i certificati vengono convalidati sempre dalla stessa firma. A distanza di anni? Sempre la stessa persona? Possibile? Non ce l’ho con i colleghi di mio figlio, ma con chi comanda e ha, ancora oggi, potere di fare ciò che vuole.

Parla dei superiori in grado di Giuseppe?
Il comando di Genova era il suo datore di lavoro, ha ospitato mio figlio e i suoi colleghi in un posto di lavoro non sicuro. Quella torre era una palafitta sull’acqua, dove transitano giganti del mare. Il paradosso è che questi ragazzi andavano lì su a governare la sicurezza portuale, ma chi governava la loro? Scommettiamo che tutto finirà in prescrizione? Per questo dico che sono stati lenti. E poi, tanto per intenderci, la Capitaneria ha svolto le indagini e fatto interrogatori. Ma se potrebbero esserci responsabilità della stessa Capitaneria, questo non è un conflitto d’interessi?

Lei ha più volte detto che quella torre non doveva essere lì. 
Se all’epoca della costruzione il traffico era meno intenso e ora è aumentato, con navi più grandi, cambiano anche i rischi, cambia tutto. Eppure nessuno ha fatto e detto nulla. Il primo incidente risale al 1999, coinvolse una motonave più piccola. Ci furono danni per 15mila dollari. Era un campanello d’allarme. Hanno messo a tacere tutto. Quel porto è un budello, vecchio di novant’anni e non adeguato alle esigenze moderne.

È per questo che parla di responsabilità di “alto livello” sulle quali nessuno vuole indagare?
Dal ministero delle Infrastrutture a quello della Difesa, fino all’Autorità portuale e alla direzione marittima della Liguria e, non ultimo, il datore di mio figlio, la Capitaneria di porto di Genova. Dove sono? I veri uomini sanno assumersi le responsabilità. In questa storia non vedo uomini. Finirà come Ustica e Vajont. Non avrò giustizia, ma se posso fare casino, lo farò. Fino alla fine.

Lei ha detto più volte che non vuole un risarcimento. 
Non tocca a me giudicare i parenti delle altre vittime. Alcuni stanno andando in quella direzione, ma dovranno uscire dal processo. Forse sono più intelligenti di me. Però mi chiedo: con chi stringiamo un patto? Non c’è una somma di denaro che compensi la perdita di un figlio. Solo l’accertamento delle responsabilità può mitigare un dolore che non posso spiegare a parole.

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