Oggi Pio IX sarebbe su Instagram. Il Papa più longevo della storia della Chiesa, dal punto di vista del pontificato, se si esclude ovviamente san Pietro, è stato il primo vescovo di Roma a essere fotografato. “Da allora in poi, – come ha ricordato il direttore de La Civiltà Cattolica padre Antonio Spadaro a Radio Vaticana – l’immagine ha sempre assunto un ruolo di messaggio spirituale, superando quello di memoria storica o di semplice ritratto”. Beatificato da Karol Wojtyla durante il Grande Giubileo del 2000 insieme a Giovanni XXIII, Pio IX è stato l’ultimo Papa re della storia vivendo un pontificato abbastanza burrascoso prima con la Repubblica Romana proclamata da Giuseppe Mazzini e l’esilio a Gaeta ospite di Ferdinando II, e poi la fine dello Stato Pontificio con la breccia di Porta Pia e l’arrivo al Quirinale di Vittorio Emanuele II.

papa

Eppure, Giovanni Maria Mastai Ferretti, come era registrato all’anagrafe, comprese subito il potenziale che avrebbero avuto i nascenti mezzi di comunicazione sociale, come li chiamerà il Concilio Ecumenico Vaticano II molti decenni dopo, nel 1963. Così come lo comprese il suo diretto successore, quel Leone XIII che con l’enciclica Rerum novarum, datata 1891 ma così attuale se si guarda ai problemi del welfare di oggi, inaugurò il filone della dottrina sociale della Chiesa guadagnandosi l’appellativo di “Papa dei lavoratori” perché rivendicò con forza i loro diritti. Fu anche il primo Pontefice a farsi riprendere da una macchina da presa aprendo le porte dei giardini vaticani a un operatore dei fratelli Lumière.

Se si guarda alla storia degli ultimi due secoli della Chiesa cattolica, con il Vaticano II che definisce i mass media degli anni Sessanta “Inter mirifica”, ovvero “cose meravigliose”, non stupisce la scelta di Benedetto XVI di essere su Twitter con l’account @Pontifex, né quella di Francesco di sbarcare su Instagram con il profilo @Franciscus. I numeri da record certificano la scelta vincente. Ereditato da Bergoglio, oggi @Pontifex, presente in 9 lingue, conta più di 25 milioni di follower e su Instagram il Papa latinoamericano ha superato i 2 milioni di seguaci soltanto in una settimana. Per non parlare poi del fenomeno del ritwittaggio che amplifica in maniera esponenziale e incontrollabile i contenuti lanciati dagli account ufficiali di Francesco nei social network.

Lo si è visto, per esempio, con il messaggio di Bergoglio inviato ai giovani all’inizio della Quaresima su Telegram o con la preghiera-invettiva da lui scritta e letta al termine della via crucis del venerdì santo al Colosseo. Quest’ultima in appena 24 ore ha fatto letteralmente il giro del globo superando non solo le distanze fisiche ma anche le barriere linguistiche, culturali e perfino quelle religiose. Il grido del Papa al Colosseo contro i mali del mondo attuale è stato condiviso Urbi et Orbi ben oltre la stretta geografia cattolica e, prima che sui giornali cartacei, esso ha viaggiato alla velocità della luce proprio grazie ai social.

È l’incarnazione di quel monito rivolto da Bergoglio, nel giovedì santo 2016, ai quei sacerdoti che più che avere “l’odore delle pecore” hanno quello dei social network. “Ci sentiamo anche prigionieri, – ha affermato il Papa nell’omelia della messa crismale nella Basilica Vaticana – non circondati, come tanti popoli, da invalicabili mura di pietra o da recinzioni di acciaio, ma da una mondanità virtuale che si apre e si chiude con un semplice click”. Bisogna dare atto a monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, di aver colto questo spirito indicato da Francesco e di averlo messo in atto nella sua riforma dei media vaticani. Una vera e propria sfida perché finalmente nello Stato più piccolo del mondo si parli con una sola voce, tenendo fede a una storia antica tracciata, più di 2000 anni fa, dallo stesso fondatore del cristianesimo: “Quello che vi dico nelle tenebre – afferma Gesù nel Vangelo di Matteo – ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”.

Sarebbe ingenuo, però, pur davanti a risultati molto incoraggianti, pensare che un’opera di riforma davvero storica possa trovare subito consenso unanime, soprattutto da parte di chi nella Curia romana sente cedere sotto i piedi la poltrona insieme a privilegi consolidati nel tempo. Significativo è il titolo dell’ultimo volume che monsignor Viganò ha dato alle stampe: Il brusio del pettegolo. Forme del discredito nella società e nella Chiesa (Edb). “Con la comunicazione, infatti – sottolinea il prelato – si avviano pratiche come i rumors, declinati poi in pettegolezzo, calunnia e delazione, attraverso vere e proprie strategie comunicative finalizzate a ottenere consenso, includere o escludere da gruppi sociali”. Quel “terrorismo delle chiacchiere”, come lo ha bollato più volte Francesco, da cui non è esente nemmeno la Curia romana.

Articolo Precedente

No Tav, cosa vuol dire recintare il diritto di cronaca

next
Articolo Successivo

Florence Hartmann, giornalista arrestata dall’Onu per aver pubblicato documenti veri su Srebrenica

next