Il caso Quarto e quello di Reggio Emilia, la polemica sugli impresentabili alle elezioni regionali e quella su Mafia capitale, arrivata a Palazzo San Macuto prima che il governo decidesse cosa fare del comune di Roma. Sono solo alcuni dei momenti di aspro scontro politico andati in onda davanti alla Commissione parlamentare Antimafia. Attacchi, repliche, battute al vetriolo e commenti velenosissimi che sfociano quasi sempre in nuove richieste di audizione: come se la Commissione Antimafia fosse una sorta di clava mediatica da utilizzare contro gli oppositori politici. “Siamo una commissione d’inchiesta che ha poteri d’indagine, che ha quasi poteri investigativi. E invece spesso ci occupiamo di casi troppo legati alla cronaca, con l’immancabile effetto che spesso la commissione viene usata come ambito per sviluppare sterili polemiche politiche”, dice al fattoquotidiano.it la senatrice del Pd Lucrezia Ricchiuti.

Parole che denunciano un maldipancia interno molto diffuso, dato che nei giorni scorsi la stessa Rosy Bindi era intervenuta sul tema. “La Commissione antimafia ha finora lavorato realizzando l’unità delle forze politiche nella lotta alle mafie: evitiamo, come abbiamo fatto finora, che la battaglia contro le mafie che conduciamo si trasformi in un terreno di lotta tra partiti, in un mezzo di divisione politica. Perché solo le mafie ne avrebbero vantaggi”, aveva detto la presidente di Palazzo San Macuto, nei giorni successivi all’audizione di Rosa Capuozzo, sindaco eletta dai 5 Stelle a Quarto, poi espulsa da Movimento di Beppe Grillo.

Ricchiuti (Pd): “Abbiamo poteri d’inchiesta e invece spesso ci occupiamo di casi legati alla cronaca”

È quello l’ultimo grande momento di tensione scoppiato tra le mura della commissione: un vero e proprio detonatore di un’infinita polemica nata sull’asse 5 Stelle-Pd, tutta giocata nei dintorni di Palazzo San Macuto nonostante abbia poco o nulla a che fare con un’indagine antimafia. Il casus belli era nato proprio durante l’audizione della Capuozzo. “Dovremmo chiedere anche perché Giovanni De Robbio (il consigliere indagato ndr) sia stato espulso e si sia usata una motivazione, come ci ha appena spiegato anche lei, diversa da quella reale. È stato espulso sapendo che c’era l’indagine, ma è stato raccontato che c’erano ragioni disciplinari legate ad altre vicende. A me, però, piacerebbe anche sapere perché è stata espulsa lei, perché, francamente, in tutta questa vicenda questa è una delle questioni che si capiscono meno”, aveva chiesto al sindaco il parlamentare del Pd, Franco Mirabelli.

Pronta la replica del commissario pentastellato Luigi Gaetti. “A questo punto – aveva detto il grillino- anche noi, come gruppo del Movimento 5 Stelle, chiederemo che, per esempio, su Brescello si possa sentire l’onorevole Graziano Delrio, in quanto riteniamo che nella zona abbia un certo peso e che sia andato a Cutro prima della campagna elettorale. Ancora, chiederemmo di audire per altre situazioni anche l’onorevole Davide Faraone, che, secondo l’informativa dei carabinieri, è andato a casa del boss Pizzuto a Palermo per richiedere un sostegno elettorale”.

Sarti (M5s): “Ci fermiamo su Quarto e non discutiamo del presunto boss Cattafi passato dal 41bis alla libertà”

Interventi che non avevano nulla a che vedere con i temi affrontati in quell’audizione, ed è per questo che Bindi aveva subito redarguito i due commissari. Polemica finita dunque? Neanche per idea. Nei giorni successivi il dibattito era diventato incandescente: Mirabelli attaccava i 5 Stelle e Gaetti attaccava il Pd con un batti e ribatti continuo, lontanissimo dai temi che dovrebbero coinvolgere i commissari. E infatti anche Giulia Sarti, parlamentare dei 5 Stelle, stigmatizza: “C’è Cattafi che è passato dal 41bis alla libertà ma non si fanno audizioni in merito, c’è il caso Agostino su cui la commissione non ha mai avuto interesse. C’è il caso Manca bloccato da mesi. Sulla trattativa Stato-mafia non ne parliamo, approfondimenti zero nonostante quello che sta succedendo nel processo Borsellino quater che rischia di ricominciare da zero per via del trasferimento del giudice Balsamo. Eppure siamo fermi al caso Quarto”.

Il risultato è che nel frattempo il frutto dell’importante lavoro prodotto negli ultimi tre anni da questa commissione rischia di perdersi nel nulla. “Mentre continuiamo a fissare decine di audizioni che non portano ad alcun risultato tangibile”, spiega sempre la dem Ricchiuti, “la nostra relazione sulle modifiche del codice antimafia, e quella sui beni confiscati giacciono alla commissione giustizia del Senato. Per non parlare del disegno di legge sul trattamento economico dei giornalisti e le querele temerarie. Perché dopo quell’ottima relazione non si è prodotto un disegno di legge, che sanzioni le querele temerarie come negli Stati Uniti? La mia impressione è che in questo modo la commissione finisce svilita nella sua funzione originaria”.

Fava: “I partiti tentano di utilizzare la Commissione come clava mediatica. Ma spesso si fermano ai comunicati stampa”

Claudio Fava, vicepresidente della commissione, prova a gettare acqua sul fuoco. “È indubbio che i partiti più ramificati tentino di utilizzare la commissione come una sorta di clava da spendere per amplificare polemiche politiche, ma una cosa è tentarci e un’altra è riuscirci: e non direi che è questo il caso. Si tratta molto spesso di tentativi che si fermano al comunicato stampa”, dice il parlamentare di Sinistra Italiana. Eppure appena sei mesi fa era toccata alla stessa Bindi finire nel mirino di un’altra violentissima bagarre all’ombra della commissione. Era successo nel maggio del 2015, quando alla vigilia delle elezioni regionali, San Macuto aveva reso noti i nomi dei cosiddetti candidati impresentabili: tra questi anche Vincenzo Del Luca, poi eletto governatore della Campania che aveva fatto la voce grossa. “Denuncio la Bindi per diffamazione e la sfido ad un dibattito pubblico per sbugiardarla”, erano state le parole a caldo dell’ex sindaco di Salerno, spalleggiato anche dal premier Matteo Renzi, che invece di difendere la commissione aveva sentenziato: “Non si usi l’Antimafia per regolare i conti nel Pd, l’antimafia è un valore per tutti, non può essere usata in modo strumentale. La Bindi e De Luca se la vedranno in tribunale”. In pratica l’attività della commissione era diventata presto alibi per una lotta intestina tutta interna al Pd.

I precedenti: lo scontro tra dem sull'”impresentabile” De Luca, le polemiche su Mafia capitale

Copione simile a quello andato in onda qualche mese dopo, quando la stessa Bindi doveva riferire ai parlamentari della Commissione sull’inchiesta Mafia capitale. Piccolo problema: quelle comunicazioni arrivavano prima che il governo avesse deciso quali provvedimenti applicare. Ecco quindi che il solito Mirabelli aveva preso la palla al balzo: “Sarebbe inopportuno– spiegava – e inusuale che una commissione parlamentare intervenga prima delle determinazioni che il governo deve assumere”. Alla fine, dopo due ore e mezza di riunione dell’ufficio di presidenza, Bindi era intervenuta lo stesso: ma dopo il suo intervento non erano state concesse repliche agli altri componenti della commissione. “Lei non può mettere la museruola alla commissione: è un’umiliazione” aveva sbottato il senatore M5s Michele Giarrusso. Solo uno dei tanti momenti d’attrito all’ombra di San Macuto. Che però nulla hanno a che fare con le attività proprie di una commissione d’inchiesta. Soprattutto quando si occupa della lotta alle associazioni criminali e alle loro infiltrazioni negli ambienti istituzionali.

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