Lo chiamano il nuovo Marlon Brando. In effetti Tom Hardy ne sembra il fratello in versione contemporanea e britannica. Stesse labbra carnose, sguardo intenso sotto una fronte spaziosa, corporatura massiccia distribuita sulla medesima altezza, 175 cm. Un connubio di fascino, talento e carisma l’hanno gravitato in vetta ai consensi del prestigioso “Top Star” di IMDB (Internet Movie Data Base) da quando, nel 2012, incantò Hollywood nella maschera di Bane, il cattivo de Il cavaliere oscuro – Il ritorno per la regia di Christopher Nolan. Tom si caricava addosso la non facile eredità del compianto Heath Ledger, che per il Joker aveva vinto l’Oscar postumo. Modificando mostruosamente il proprio bellissimo volto e virando la voce su un timbro infernale, Hardy/Bane diventava il Male assoluto più idolatrato del cinema americano, arrivando a oscurare persino Christian Bale nel ruolo di Batman.

Quest’anno il londinese di Hammersmith Tom Hardy arriva agli Academy Awards con due presenze forti: da una parte con la sua prima candidatura personale da attore non protagonista per Revenant – Redivivo di Iñárritu, e dall’altra come titolare del cast di Mad Max – Fury Road di George Miller, candidato come miglior film. Al di là di quanto accadrà la magica Notte delle Stelle (il 28 febbraio) per l’attore si tratta di un traguardo fondamentale, da ogni punto di vista. E fa sorridere che alle porte degli Oscar Tom si presenti con un ruolo da villain assoluto, una sorta di Bane-redivivo, interpretando nel film di Iñárritu la parte del feroce John Fitzgerald, l’antagonista di Leonardo DiCaprio. Qualcuno ritiene che Hardy sia ancora più bravo (e meritevole dell’Oscar) di superLeo nell’epica opera del cineasta messicano.

Indubbiamente lo stuolo di fan di Tom è in crescita vertiginosa, con o senza Oscar ma con una certezza: Tom Hardy appare perfettamente a proprio agio nei panni del malvagio, eroe o antieroe che dir si voglia. E questo nonostante abbia dichiarato di non sentirsi un “fighter” né tanto meno un “macho” ma solo “un semplice ragazzo borghese di Londra”. Non è un caso che la sua prima vera vetrina internazionale gli sia stata offerta dal regista danese “stracult” Nicolas Winding Refn, che l’ha voluto interprete di Bronson, biopic del feroIce criminale britannico Michael Gordon Peterson. Era il 2008 e l’ancora semisconosciuto Hardy, rasato e baffuto come da copione, conquistava la critica planetaria, portandosi a casa il prestigioso BIFA (British Indipendent Film Award) come miglior attore in madrepatria che – si sa – considera sacra l’arte della recitazione. Per essere un performer credibile e stimato in Gran Bretagna, infatti, bisogna passare (e possibilmente sostarci tutta la vita) per il teatro. Questo Tom lo fa regolarmente, tra un film e l’altro, esattamente come la maggioranza dei colleghi suoi compatrioti.

Dal 2010, quando Christopher Nolan l’ha voluto nel megacast di Inception, la carriera di Hardy ha conosciuto un’ascesa di raro successo: protagonista in Warrior (2011) di Gavin O’Connor, coprotagonista del magnifico spy movie La talpa (2011) di Tomas Alfredson, antagonista del nuovo Batman (2012), coprotagonista del western Lawless (2013) di John Hillcoat, protagonista assoluto e solitario nel car-drama Locke (2013) di Steven Knight, protagonista di The Drop (2014) di Michael R. Roskam ed infine nel quartetto di film del 2015, che lo vede appunto in Revenant – Redivivo, Mad Max- Fury Road ma anche in Child 44 di Daniel Espinosa e soprattutto in Legend di Brian Helgeland, dove da solo interpreta i due fratelli gemelli Ronald e Reginald Kray, entrambi (guarda il caso) boss criminali nella Londra tra i ’50 e i ’60.

Il Circolo dei Critici londinesi ha voluto premiare Tom Hardy miglior attore britannico del 2015 per il formidabile ensamble di ruoli interpretati. Ruoli che al 38enne attore piace variare e sperimentare in maniera assoluta: “I love to do things I hadn’t done before” ovvero mi piace fare cose che non ho mai fatto prima, ha dichiarato in una delle sue ultime interviste. E qualunque cosa faccia, la deve fare alla perfezione. Il motivo è lui stesso a spiegarlo: “Ci sono due diversi approcci alla recitazione: l’approccio convincente e quello non convincente. La gente mi descrive come intenso. Credo sia perché m’importa di quello che faccio. E so di essere un rompicoglioni (letteralmente in inglese dice pain in the ass, ndr) perché me ne frega. So quello che sto facendo? No. Ho però le migliori intenzioni? Sì. E questo mi manda all’inferno? Qualche volta”. Non c’è dubbio che questa determinazione a tratti ostinazione sul lavoro lo stia portando lontano, verso la visceralità interpretativa vicina a quel mito a cui tanto fisicamente assomiglia. Tom è considerato uno dei migliori attori della sua generazione proprio al pari del suo coetaneo (entrambi sono del 1977) e compagno del London Drama Centre Michael Fassbender: i due si incontreranno al Kodak Theatre alla Notte degli Oscar (Fassbender è candidato da protagonista di Steve Jobs) e chissà se si abbracceranno. Insomma, Mister Edward Thomas Hardy piace indistintamente a uomini e donne, adulti e adolescenti: una comunanza di consensi che solo poche star riescono a conquistare e, non a caso, Marlon Brando ne era un campione.

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