Mentre nelle acque italiane non si “muore più di immigrazione” per via di una gestione migliore di controlli e delle operazioni di salvataggio, ecco che tra Grecia e Turchia si continuano a contare decessi e tragedie, ultima in ordine di tempo quella dello scorso 22 dicembre. Come mai, nonostante un limitato fazzoletto di mare da 14 miglia nautiche che separa le coste di Smirne da quelle dell’isole greca di Lesbo, non cessano naufragi e annegamenti? Proviamo a fare una panoramica tra bilanci migratori di fine anno e nuove dinamiche legate non solo alle operazioni targate Frontex, ma anche ad elementi geopolitici nell’intera area.

ATENE COME ANKARA?
Qualcuno inizia a far circolare l’idea che Tsipras ed Erdogan giochino la stessa partita con il medesimo obiettivo: puntare al rialzo con Bruxelles per una serie di ragioni che, in primis, hanno alla base quelle di natura finanziaria. Il premier turco, anche grazie ad un evidente lassismo con cui le autorità di frontiera a Smirne hanno gestito il flusso di profughi sino ad oggi, ha incassato un bonus da tre miliardi dall’Ue. Non pochi per implementare il controllo dei confini, ma con il sospetto ormai diffuso che servano per stimolare Ankara a fare di più nella lotta all’Isis. I numeri, ancora una volta, vengono in soccorso di tesi e strategie. Secondo i dati diffusi dal Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati e dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, su un totale di 1.005.504 di arrivi in ​​sei paesi dell’Unione europea (Grecia, Bulgaria, Italia, Spagna, Malta e Cipro) fino al 21 dicembre scorso, la stragrande maggioranza (ben 816.752) sono giunti ​​via mare in Grecia (3600 i decessi, di cui 700 bambini) e ben 500mila nella sola isola di Lesbo che di abitanti ne ha 86mila. Un’invasione vera e propria.

EMERGENZA A LESBO
Una situazione che accusa il suo apice proprio nell’isola che diede i natali alla poetessa Saffo nel VII secolo avanti Cristo. I centri di detenzione a Lesbo traboccano di immigrati nordafricani, ma non tutti sono condotti nei centri raccolta per la registrazione: quindi è come se non esistessero e restano sul territorio non censiti. Di chi le responsabilità per la precaria organizzazione? Parliamo di almeno mille persone nei soli tre giorni che hanno preceduto il Natale, in condizioni igienico-sanitarie precarie, ospitati in tende e campi di fortuna alimentati dalle ONG che lavorano lì. Un circolo vizioso, l’ha definito il presidente del Forum greco di migranti, Ahmet Moavia, che ha denunciato lo stallo presente a Lesbo con almeno 2.000 tra nordafricani e asiatici, che non possono andare ad Atene o tornare in Turchia anche perché non avranno accesso al permesso di soggiorno. A ciò si aggiunge la criticità rappresentata dalle strutture di accoglienza temporanea ad Atene, in cui sono accettati solo quei migranti che abbiano presentato domanda di asilo, o coloro che presentano una richiesta di ritorno volontario. Tuttavia, la maggior parte dei migranti non avanza tale richiesta perché non intende restare in Grecia, dove invece rimane intrappolata anche per diatribe burocratiche. Per cui, è il missile che parte ancora una volta da Berlino in direzione di Atene, “qualsiasi paese che non soddisfi i propri impegni a guardia delle frontiere esterne dovrebbe lasciare la zona di Schengen” ha detto il ministro degli Interni bavarese Joachim Hermann dalle colonne del Die Welt. Che punta il dito contro la Grecia per le operazioni di accoglienza e smistamento definite una “farsa”.

LA DIFESA DI ATENE
Una situazione oggettiva su cui però il governo di Atene non intende fare mea culpa, come dimostra la pubblica arringa difensiva diffusa dal ministero degli Esteri. In sostanza l’esecutivo ammette che non è stato possibile sigillare i propri confini in quanto i controlli alle frontiere di mare sono diversi da quelli di terra. Non si possono costruire barriere fisiche e il diritto internazionale proibisce il respingimento, scrivono in un report ad hoc curato dal ministero delle migrazioni e della comunicazione. “Al contrario, il diritto internazionale impone il soccorso alle persone in pericolo in mare. La Grecia fino ad oggi lo ha fatto, per cui ha agito all’interno del perimetro previsto dalla legge”. Al secondo punto la richiesta di uomini e mezzi per offrire risposte più rapide e risolutive: Atene chiede all’Ue 1.600 guardie di frontiera e 100 apparecchi Eurodac, ma in concreto ha ricevuto finora solo 170 guardie di frontiera e 48 apparecchi Eurodac.

Inoltre, ed è un altro punto significativo, si dice che Atene non abbia fatto progressi nel processo di riallocazione dei profughi. I primi numeri (gli unici in Europa), per quanto irrisori, dicono che 30 profughi provenienti dalla Grecia e 129 dall’ Italia sono già stati trasferiti in altri paesi dell’Unione europea. Altri 46 sono in attesa di simile destinazione. Ma il basso numero dei trasferimenti non è imputabile alla Grecia o all’Italia, dicono dal governo, perché il processo dipende dalla collaborazione dei rifugiati stessi e degli stati membri, che devono avanzare offerte concrete di alloggio. Infine la Grecia si dice non faccia progressi in materia di rimpatri di migranti. Non si considera, però, che i paesi di origine dei migranti non sono sempre disponibili a cooperare come recentemente accaduto con il Pakistan che ha rifiutato l’ingresso di 30 migranti pakistani da un totale di 50 rimpatriati dalla Grecia. Atene sottolinea che i rimpatri si possono realizzare sulla base di “accordi di riammissione” principalmente concordati tra Bruxelles e terzi, rendendo così il contributo dell’Ue in questa materia indispensabile. Tutto pacifico e condivisibile, ma nonostante questa arringa del governo greco e i tre miliardi concessi dall’Ue alla Turchia, i naufragi e i decessi in quel lembo di Mediterraneo (e solo in quello) non accennano a cessare.

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