Alcuni sostengono di ricordare il primo momento in cui hanno aperto gli occhi, quando sono nati. Io sinceramente non lo ricordo. I miei primi ricordi credo siano intorno ai 5 anni. In verità, che voi ricordiate il viso dell’ostetrico che vi ha fatto nascere o quello della prima insegnate alle elementari non cambia molto; l’importante è che abbiate questi ricordi.

10122014 salisburgo-museo-del-natale

Viviamo in un mondo di dati. I nostri ricordi non sono altro che informazioni registrate chimicamente in quel molle e umidiccio disco fisso che ci portiamo nel cranio, chiamato comunemente cervello. Tutto ciò che siamo lo dobbiamo alle nostre azioni, codificate nella memoria come ricordi. Il nostro passato, le nostre esperienze, i nostri ricordi ci aiutano a crescere e imparare dai nostri errori.

Cosa succede quando perdiamo i nostri ricordi? Forse è un po’ come morire. Una parte della nostra vita, la nostra educazione, le persone care, semplicemente non esistono più. Sono elementi della nostra realtà che non ci appartengono, svaniti come se non fossero mai esistiti. Possiamo camminare per strada, essere fermati da una persona che ci saluta e considerarla un perfetto estraneo.

Certo essere fermati da un perfetto sconosciuto può essere curioso, divertente, al più può lasciarci perplessi. Ma cosa succede se l’estraneo che ci ferma per strada fosse un nostro amico, un figlio, un collega di lavoro di cui abbiamo completamente perso la memoria, che non riusciamo a riconoscere malgrado lui insista? Una perdita di memoria così radicale non è sintomo di follia; è purtroppo uno dei sintomi più manifesti di quella malattia neurodegenerativa chiamata Alzheimer.

Ma come si sente una persona malata, che non ha memoria dei suoi cari, dei suoi amici? I giovani globalshapers di Venezia lo hanno dimostrato in modo semplice ed efficace. Il video che hanno girato rende perfettamente l’idea. Sviluppato nell’ambito di un progetto di supporto alla onlus Opera della Provvidenza di Sant’Antonio, è da pochi giorni in rete su youtube.

Ci aiuta a ricordare come si può sentire un malato di Alzheimer nelle prime fasi. La malattia, attualmente senza una cura, è purtroppo ben familiare a chiunque abbia avuto un genitore o un amico affetto da questa grave patologia. La sua evoluzione non lascia scampo ne speranze ai malati.

Sotto natale di solito si parla di cose positive: l’albero, il presepe, un nuovo nato in famiglia, i giocattoli, gli abiti, un insano desiderio di shopping sfrenato ( oddio per chi se lo può permettere si intende). Forse sono fuori tema a trattare in questo periodo dell’anno un tema cosi complesso, difficile e doloroso (specie per chi lo ha vissuto di persona) ma credo che a Natale essere più vicini e sensibili a chi soffre sia un atto di carità cristiana (o mussulmana se preferite) che tutti noi abbiamo la possibilità di fare qualcosa di piccolo senza che questo turbi le nostre festività.

@enricoverga

Articolo Precedente

Natale, il presepe non si tocca

next
Articolo Successivo

Natale, nel presepe del prete no global Gesù è in gommone. “Pietro e Abramo? Oggi sarebbero clandestini”

next