“La nostra è una procedura consolidata della società da oltre sessanta anni”. Così, stando al decreto di sequestro preventivo firmato dal Gip Claudia Picciotti, parlava uno dei dirigenti del gruppo petrolifero Kuwait Petroleum Italia (Kupit) intercettato, il 6 febbraio 2014, nell’ambito dell’indagine della Dda su un presunto traffico illecito di rifiuti a Napoli. Indagine che nel febbraio 2014, il giorno prima della conversazione intercettata, determinò il sequestro degli impianti di via Nuova delle Brecce nel quartiere di Barra, e che adesso è culminata in un nuovo sequestro preventivo di 240 milioni di euro.

Il manager sta parlando della procedura di recupero dell’acqua di lavaggio delle linee di importazione di benzina. Una procedura non a norma, secondo la Procura, che avrebbe trasformato il deposito di Napoli Est in una bomba ecologica. Ci sono otto indagati: il legale rappresentante, il terminal manager del deposito fiscale di Napoli, i gestori dell’impianto Ippc Kupit di Napoli, il consigliere d’amministrazione e il direttore delle risorse umane, il coordinatore della movimentazione del deposito fiscale Kupit di Napoli e l’ingegnere responsabile Prevenzione e protezione dei depositi di Napoli della Kuwait Petroleum Italia. La società è ritenuta responsabile dal punto di vista amministrativo delle condotte penalmente rilevanti contestate alle persone sotto inchiesta.

L’accusa è di aver stoccato illecitamente acque oleose per oltre 42mila metri cubi all’interno del deposito fiscale e di averle smaltite in modo illecito in un impianto di depurazione non idoneo, risparmiando sulle spese di uno smaltimento a rigore di legge. Di qui il sequestro patrimoniale, così motivato dal Gip nel decreto che accoglie quasi integralmente la richiesta del pm Antonella Fratello (la riforma Berlusconi ha attribuito alla Dda la competenza sui reati connessi al traffico dei rifiuti). La sezione Antimafia diretta da Filippo Beatrice aveva chiesto un sequestro superiore ai 300 milioni di euro: le risorse economizzate da Kupit dal 1 gennaio 2010 in diversi anni di presunte violazioni di legge. Il Gip ha rideterminato la cifra, calcolandola solo a partire dell’entrata in vigore della nuova legge sul traffico dei rifiuti, nell’agosto 2011.

L’inchiesta è avanzata sul solco tracciato dalle intercettazioni e dal sequestro di alcuni file rinvenuti sui computer della dirigenza napoletana dell’azienda petrolifera. Ed in particolare su un file ritrovato sul computer del gestore dell’impianto: è il report di una riunione operativa del 3 aprile 2013 proprio sulle procedure di gestione e recupero delle acque oleose. Procedura, scrive il Gip, “in palese violazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrale ambientale”, che secondo l’accusa era una prassi consolidata.

“Napoli Est è una bomba pronta a scoppiare – denunciano i parlamentari campani del M5S che annunciano un’interrogazione in commissione Ambiente – con il sottosuolo inquinato da metalli pesanti e falde acquifere compromesse: è da anni che conferenze di servizio e progettazione pubblica rilevano quest’emergenza senza che la politica sia mai intervenuta. Al netto degli slogan, chi ha amministrato la città per decenni è responsabile del disastro ambientale di Napoli est. E l’indagine della magistratura svela la punta di un iceberg: lo smaltimento illecito è solo una parte dell’inquinamento che investe una zona, centrale, abitata da decine di migliaia di persone. Cittadini che aspettano un monitoraggio sanitario immediato, improcrastinabile. Il M5S chiede al ministro dell’Ambiente che fine ha fatto la bonifica di Napoli est e pretende che sia avviata in tutta l’area uno screening sanitario della popolazione”.

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