Napoli 675 275Guagliù, salvatevi!” Il grido che riecheggia è quello che il parroco di Forcella, don Franco Rapullino, anni fa, rivolse ai giovani del suo quartiere: “Fujtevenne“: scappate via. Stavolta è diverso. Non “scappate via” ma “salvatevi”.

E diversa è anche la provenienza. Non dal parroco del quartiere o dalle mamme di chi è in pericolo viene l’invito alla salvezza. Sono i vecchi camorristi che dal carcere scrivono alla “Paranza dei bambini”. Sì, proprio loro, quei cattivi maestri che più di tutti sono stati capaci di ammaliare e rovinare la vita a questi ragazzini. Si sono accorti che quando si comincia a sprofondare non c’è regola che tiene. La camorra violenta e stupida non guarda in faccia a nessuno, nemmeno agli amici e ai parenti. La guerra intrapresa dai loro “bambini” è una sconfitta per tutti. Ogni morto lasciato sul selciato già ne chiama un altro. Un altro. E un altro ancora. I ragazzini armati sono solo carne da macello. Hanno innescato una strage inutile e spaventosa. “Guagliù, salvatevi!”. La libertà di una passeggiata sul lungomare, una scampagnata alle falde del Vesuvio, una serata passata in pizzeria non hanno prezzo. Questo invito alla salvezza profuma di freschezza. Ha il sapore della verità calata nella vita di ogni giorno. Queste parole vanno prese in seria considerazione. Da tutti. A cominciare da chi governa la città e i suoi abitanti. Salvatevi, ragazzi! Noi non vi lasceremo soli. Ce la potete fare. Ritornate a sorridere, a scherzare, a sperare. Sperimentate anche voi la fatica e la gioia del sacrificio che porta al traguardo desiderato. Decidetevi adesso, domani potrebbe essere già tardi.

Conosco l’obiezione: “Che debbo fare? Il lavoro non c’è. La scuola non mi piace. Mio padre è malato. Che debbo fare?”. Con certezza so che cosa non devi fare. E lo sai anche tu. Non si può mai essere felici sulle spalle degli altri. Troppo bella è la vita per essere sprecata. Bella è la città. La nostra città. E la nostra lingua. Le nostre canzoni. La nostra cultura. Deponete le armi. Portatele ai piedi dell’altare, come vi chiede il cardinale Sepe. Il pane guadagnato con il sudore della fronte ha un sapore unico. Indescrivibile. È invece pane avvelenato, pane velenoso, pane che non sazia quello inzuppato nel sangue dei fratelli. Lo so, anche voi siete vittime di un mondo egoista e menefreghista. Di una politica che non sempre ha dimostrato di avere a cuore i poveri. Di un sistema che a volte sembra un mostro senza volto. Meglio però rimanere vittime che diventare carnefici. Nella vita si fanno mille sacrifici. Michele si è laureato in ingegneria con 110 e lode. È dovuto volato Oltreoceano per lavorare. Avrebbe voluto rimanere in Italia, non è stato possibile. Almeno, non per adesso. Poi. Chissà. I fratelli che arrivano sulle nostre spiagge sono allo stremo, ma non mollano. Vivere è un diritto. L’uomo è patrimonio dell’umanità. Anche voi lo siete. Sempre, anche quando vi fate male. Ci fate male. Anche quando non lo credete.

Ascoltate la voce dei vostri vecchi cattivi maestri, oggi è più autorevole della nostra. È la voce di chi ha sperimentato l’inutilità, la crudeltà, l’assurdità del male. Anche i vostri figli reclamo i loro diritti. Alla serenità, al gioco, alla libertà. Diritto ad avere il papà accanto e non rinchiuso in carcere o al cimitero. Credeteci: non vi abbandoneremo.  Saremo  la vostra voce. Porteremo in alto il vostro grido di dolore. Ci uniremo a voi nel chiedere il sacrosanto diritto ad avere un lavoro. A chi ci governa: venite a Napoli. Abbiate il coraggio di incontrarli, questi ragazzi, prima di vederli fotografati nel loro stesso sangue. Entrate nelle loro case. In quegli antichi bassi senz’aria e senza luce, ma strapieni di umidità e di sofferenza. Ascoltate le loro storie. Le loro paure. Le loro speranze. E date loro un’altra opportunità. Guagliù,  salvatevi. In nome di Dio, salvatevi!

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