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Mafia, il grande lavoro di Libera e i giovani non banalizzati

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Partecipare a 69 anni suonati, in agosto, a un campo di lavoro di Libera, a Partinico (Palermo) può non essere una buona idea, visto il rischio di colpi di calore.

In questi mesi, da anni, migliaia di ragazzi e ragazze si danno da fare nei beni confiscati o espropriati alle mafie. Si tratta di Libera estate. Ricapitolando, per una settimana, mi sono trovato a raccogliere sterpaglie, tagliare legna, e a ripulire un campo che durante l’anno viene adibito a fattoria didattica per gli alunni delle scuole della zona.

Sono Roberto, Floriana, Giuseppe e Simona a portare avanti con semplicità e tenacia un’esperienza di forza straordinaria. Apicoltura, orto, stagno, qualche animale da cortile e Ashor, il cavallo del vicino che serve da compostiera, dato che si nutre di avanzi di patate, cocomeri e peperoni. Incontri toccanti e forti con imprenditori che non si piegano al racket come Silvia Bongiorno o Enrico Colajanni, con Antonio Zangara, figlio di Salvatore, vittima innocente della mafia, o con Alessandro Chiolo, autore di Quarto Savona 15, che racconta la storia dei componenti della scorta a Giovanni Falcone.

Brividi e sudore condivisi con Morena, Giulia, Maria Vittoria, Lorenzo (Lollo), Rebecca, Tiziana, Lorenzo (Renzo), Serena, Manuel, Davide, Gabriele, provenienti un po’ da tutta Italia, dal Friuli alla periferia di Milano, all’Emilia e Romagna, Torino, Genova, la Toscana o Palermo, dai 20 anni in su. Un’esperienza che mi ha fatto conoscere un mondo di giovani che, la generalizzazione dei media o i numeri delle statistiche, riescono solo a banalizzare, durante la quale ho ricevuto molto di più di quanto non sia riuscito a dare. Niente di eroico, una routine di normalità, in un contesto complicato, che dona fiducia nel presente. Libera sta facendo un gran lavoro, non solo al Sud, confortando la sensazione che la lotta alle mafie sia molto più avanti nei luoghi di tradizionale provenienza che non nelle molli, amorfe, ricche provincie del nord.

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