Affascinante, colto, un’eleganza innata che traspare dai suoi gesti e dalle sue parole, e che, paradossalmente, si sposa benissimo con il suo tratto graffiante, spesso ruvido, mai alla ricerca di sterili virtuosismi, e con il suo piglio deciso e sarcastico, da buon toscano, ma soprattutto da maestro di satira qual è. Quando lo incontro, per capire chi ha di fronte mi accarezza il volto: la degenerazione retinica che l’ha colpito molti anni fa l’ha reso quasi cieco. Incredibile pensare che sia ancora oggi uno dei più grandi illustratori italiani. “Mi aiutano la tecnologia e mio figlio” sorride. Sergio Staino è protagonista di una grande mostra a Roma dal titolo “Sergio Staino. Satira e sogni” (Macro Testaccio, spazi della Pelanda, fino al 23 agosto), che ripercorre i passaggi decisivi del suo lavoro artistico lungo oltre 35 anni: circa 300 le opere esposte tra disegni, acquerelli e lavori digitali, in un percorso affascinante e unico, ironico e a volte spietato come solo la satira sa essere. Tre percorsi per raccontare la storia d’Italia: dalla fine degli anni ’70 a Renzi, dagli esordi scapestrati alla graphic novel e poi le celebri vignette con Bobo.

Staino autore satirico, ma anche regista cinematografico, scrittore, scenografo e promotore culturale. La mostra romana è anche una testimonianza morale e culturale, forte, dopo i drammatici fatti di Parigi. In mostra troviamo anche due grandi fondali del Teatro Ariston di Sanremo disegnati in occasione delle due edizioni del Premio Tenco del 2006 e 2007 e un grande schermo su cui scorrono le immagini e le canzoni dei nostri più grandi cantautori, da Gaber a De André a Guccini. Ma naturalmente, il grande protagonista è lui, Bobo, “il mio alter ego” ci dice Staino. Utopista, nostalgico, scanzonato, profondamente umano ma anche critico, Bobo in fondo è Staino stesso. “Fisicamente è come mi vedevo io tanti anni fa, quando l’ho inventato (esce per la prima volta su “Linus” nel 1979, ndr). Avevo così bassa stima di me che mi sono imbruttito, con ferocia, cosa che mi ha fatto bene. Quando sono diventato famoso e le signore mi incontravano mi dicevano sempre che ero molto meglio. Dentro sono tutto Bobo, con le stesse paure, le incoerenze, la voglia di essere eticamente bravo che a volte però si scontra con la necessità di dover scendere a compromessi”.

Staino, che cosa la spaventa di più oggi?
A 74 anni personalmente ormai non mi spaventa più nulla. Sono invece molto preoccupato per i miei figli, i miei nipoti, per le giovani generazioni. Siamo alle soglie di cambiamenti così grandi a livello mondiale, che direi superano persino il crollo dell’Impero Romano, che ogni giorno diventa sempre più difficile risolvere le crisi con diplomazia, e la guerra diventa sempre più reale. I grandi come Russia, Stati Uniti, Cina, India che non si sa esattamente cosa vogliano fare mettono paura. Moltissima.

Bobo curiosa, critica, analizza, osserva disorientato il mondo che cambia…
Bobo spesso è smarrito di fronte alla politica, alle contraddizioni del nostro vivere, alla distruzione e alla ricostruzione del tessuto urbano. Ieri e oggi, non è cambiato molto da questo punto di vista. Già anni fa, nel mio reportage da Berlino ad esempio, raccontavo di cittadini oppressi dall’industria edile, di vedove cacciate dai loro appartamenti che perdono ogni riferimento e si lasciano morire. Ancora oggi tutto questo è realtà.

Dove manderebbe adesso Bobo per raccontare lo spirito del nostro tempo?
In uno di quei paesini della Calabria dove la Caritas e altre associazioni hanno realizzato il sogno di ospitare i migranti che attraversano il mare nei campi e nelle case abbandonate del nostro Sud. È una storia che va raccontata. Avessi meno anni lo farei io.

Lei iniziò con “Linus”, meraviglioso spaccato di un mondo che non c’è più. Abbiamo perso quella stessa voglia di fare satira?
Io credo sia ancora possibile una rivista come “Linus”. Pensiamo a Zerocalcare: 200mila copie vendute, significa che è riuscito ad intercettare un pubblico, dimostrazione che ci sono moltissimi giovani non disinteressati. Il problema però è che nel nostro Paese mancano i veri imprenditori culturali. Noi abbiamo i Della Valle che mettono il proprio marchio sul Colosseo… Siamo arrivati a un tale livello di mediocrità a livello politico che stiamo perdendo l’intelligenza più profonda. E per fare satira bisogna essere molto intelligenti e molto colti. Non è pensabile andare avanti con un’informazione così asettica. Bisogna tornare all’utopia.

Utopia è anche quella di “Charlie Hebdo”, a suo modo. Qualcuno pensa si debbano mettere dei freni alla satira…
Assolutamente no, sarebbe una contraddizione in termini. La satira è un moto dell’anima e come tale deve essere espressa. È come dire letteratura, cinema, poesia, non ci sono limiti. Il problema è quando a farla, per modo di dire, sono i rappresentanti politici: Calderoli che indossò la maglietta con le vignette anti-islamiche fece un grave danno, perché rappresentava una nazione. A me le strisce di “Charlie Hebdo” non sono mai piaciute, però ne difendo la libertà. E guai a cadere nella tentazione di dire: “Se la sono cercata”. Sarebbe come, di fronte ad uno stupro, condannare anche la ragazza perché portava la mini-gonna. Quello che è successo è inaudito. In più Wolinski era un mio carissimo amico.

Tornando alla politica, cosa pensi di Renzi? È come Berlusconi?
Per certi aspetti sì, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione e la superficialità che dimostra in molti casi. Lo credo più furbo e più intelligente, forse anche perché è più giovane, con una voglia edonistica di fare del bene che ogni tanto lo porta anche a fare qualcosa di giusto. Cosa che non esiste in Berlusconi.

E Grillo dove lo mettiamo?
Grillo ama solo se stesso. Non potrà mai fare nulla di buono, potrà raccogliere consensi ma porterà alla rovina tutti.

Secondo lei ha ancora senso parlare di sinistra oggi? La vittoria di Tsipras in Grecia ne è espressione?
Credo abbia senso parlarne se vogliamo ricostruire la sinistra, adesso non esiste. Il Pd o la Spd tedesca non rappresentano quel concetto di sinistra capace di capire il mondo e rinnovarlo come lo abbiamo pensato noi un tempo, che non vuol dire ritorno al passato. Tsipras, così come Podemos in Spagna, mi sembra sentano queste esigenze, però rifiutano troppo le conquiste ideali e culturali della sinistra storica. Se mantenessero l’aspetto utopistico del loro sogno e lo legassero ad una lettura più seria e profonda della politica potrebbero essere loro la nuova sinistra. Ma per ora no.

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