Legittimità alle prostitute e addio legge Merlin. Un gruppo bipartisan di 70 deputati e senatori (dal Pd al M5S, da Forza Italia a Ncd e Lega) si metterà al lavoro per regolamentare l’esercizio della prostituzione nel nostro Paese e mettere in soffitta la vecchia norma voluta dalla senatrice socialista Lina Merlin che nel 1958 aveva abolito le case chiuse e introdotto il reato di sfruttamento e favoreggiamento del meretricio. L’iniziativa, presentata oggi a Montecitorio, è partita da Pierpaolo Vargiu (Sc), medico e presidente della commissione Affari sociali alla Camera, e da Maria Spilabotte (Pd), vicepresidente della commissione Lavoro del Senato. 

Partita Iva e tasse sugli incassi, attività autogestite singolarmente o in forma cooperativa con iscrizione alla Camera di Commercio, uso obbligatorio del preservativo e controlli sanitari obbligatori: sono alcuni dei punti condivisi dai parlamentari, già firmatari di dodici disegni di legge che finora sono rimasti appesi al vuoto. “La legge Merlin ha fallito – ha detto Vargiu – non è coraggioso fare finta di niente. Serve una nuova legge nazionale che metta al centro la dignità di chi si prostituisce. Non vogliamo riaprire i bordelli, ma garantire sicurezza e tutela sanitaria a chi fa questo mestiere. Ogni comune deciderà se limitare la prostituzione in un’area definita, come accade già a Mestre, o estenderla a tutto il territorio”.

A patto che si tratti di prostituzione volontaria. Per la senatrice Spilabotte, prima firmataria di un ddl, “non è vero che la prostituzione non è anche una libera scelta. L’ho capito dopo aver ascoltato tante escort prima di scrivere la mia proposta. Per questo abbiamo il dovere di riconoscere loro il diritto di autodeterminarsi. Il nuovo piano non sarà solo un modo per fare cassa”. Tra le ipotesi c’è quella di destinare parte dei proventi derivanti dalla tassazione della prostituzione per l’inserimento sociale dei soggetti che vogliono smettere l’attività, per la repressione della tratta di esseri umani, dello sfruttamento della prostituzione, anche minorile, per l’educazione sessuale e la formazione del personale sanitario, di assistenza sociale e di pubblica sicurezza.

Tra i relatori era presente anche Efe Bal, trans di origine turca, che da oltre 16 anni si prostituisce. “Il fisco italiano mi contesta 700mila euro. Io vorrei saldare il mio debito con l’Agenzia delle entrate ma lo Stato non me lo permette perché non riconosce il mio lavoro. I politici non possono pensare di risolvere questo disagio sociale senza l’aiuto delle persone che come me da anni si prostituiscono”. Le ha fatto eco un’altra ospite, Maria Pia Covre, 67 anni, presidente e fondatrice del Comitato per i diritti civili delle prostitute (Cdcp), un’associazione no profit, una specie di sindacato delle lucciole: “Siamo vulnerabili perché viviamo nel sommerso. Costrette a vivere nelle periferie, a nasconderci dai vicini di casa, siamo vittime di aggressioni e di abusi, stigmatizzate dalle forze dell’ordine e dai medici. Non è semplice per noi presentarci in società e dire che facciamo questo lavoro”.

In Italia il giro di affari della prostituzione vale 3,5 miliardi di euro. Si contano circa 70mila prostitute e nove milioni di clienti. “Il 30 aprile a Roma faremo un flash mob per chiedere al più presto un riconoscimento della nostra attività. Noi siamo sex workers”.

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