Il piglio è quello del capo. In realtà in procura a Bologna Valter Giovannini, 60enne romano, è il numero due: procuratore aggiunto su diversi settori, non ultima la criminalità diffusa. Tradotto: i fatti di cronaca sono roba sua. L’esposizione mediatica non gli dispiace, anzi. Le notizie, però, vuole gestirle personalmente. Lui tiene i rapporti con la stampa che si traducono in un fugace appuntamento mattutino. Poche parole, poche notizie. Vietato bussare alle porte dei pm. Il capo della Procura Roberto Alfonso, un passato in Dna, lascia fare. Per lui conta solo la lotta alla mafia. Di tutto il resto si occupa Giovannini che al collo porta la medaglia per aver condotto il processo contro la banda della Uno Bianca. Era il 1994 quando i fratelli Savi furono arrestati. Giovannini stava a Bologna da un anno. Ne sono passati 22. Ora però l’ultimo valzer giudiziario rischia di farlo inciampare.

Sul tavolo non ci sono omicidi, né sequestri, non è mafia e nemmeno terrorismo. Sul tavolo c’è un furto di gioielli, valore 800mila euro. Un buon bottino, nessuna violenza e uno strano suicidio: quello di Vera Guidetti, farmacista di 62 anni con residenza in centro e negozio nel quartiere popolare del Pilastro. La Guidetti, che viveva assieme all’anziana madre, il 9 marzo viene chiamata in Questura e sentita come persona informata sui fatti. La interroga Giovannini. Due giorni dopo la farmacista si suicida con un’iniezione di insulina. Prima però tenta di uccidere la madre che morirà il 20 marzo. Prima di togliersi la vita, la farmacista lascia un biglietto dove accusa Giovannini di “non averle creduto” e di “averla trattata come una criminale”. Spiega di “sentirsi minacciata” e di “aver paura di finire sui giornali”. Qualcuno dagli uffici della Questura parla di un interrogatorio feroce, sproporzionato al reato, c’è chi avrebbe sentito urla che nessuno conferma. E il senatore pd Luigi Manconi chiede al governo di inviare gli ispettori in Procura per verificare l’operato dell’aggiunto.

Per capire meglio, però, bisogna tornare al 3 marzo scorso quando in un appartamento di via Saragozza vengono portati via i gioielli. La vittima è la moglie di un noto medico della città. Borghesia bolognese alla quale Giovannini pare sensibile. Parte l’inchiesta. Indaga la squadra mobile. Nel mirino finisce un giostraio di origini sinti. Si chiama Ivan Bonora, ha precedenti per ricettazione. Dai tabulati telefonici emergono i contatti tra Bonora e la Guidetti. Il 6 marzo, la Questura convoca il sinti che però oppone un impegno. Lo stesso giorno Bonora va dalla Guidetti per lasciarle un quadro e un sacchetto. Spiega che ha avuto lo sfratto.

Il lunedì successivo sinti e farmacista sono negli uffici della polizia. Bonora è indagato, la donna no. Il sinti oppone un alibi, stava a San Marino da un notaio, che conferma; il giorno dopo il giudice non convalida il fermo. Vera Guidetti, invece, spiega i suoi contatti con Bonora. Dice di essere affezionata ai figli del sinti, racconta di aver tenuto alcuni quadri di Bonora. Fa di più, accompagna la polizia in casa. I quadri ci sono e fin da subito appaiono sospetti. E nonostante la presenza di merce rubata nel suo appartamento la farmacista non viene indagata e resta senza avvocato.

L’assenza di un legale è la prima ombra che pesa su Giovannini. Di più: secondo prassi l’interrogatorio in Questura doveva essere condotto dal pm titolare del fascicolo. “Era in ferie”, ha spiegato Giovannini. Ancora: l’11 marzo, quando la Guidetti si suicida, sul posto interviene lo stesso Giovannini che già sa del bigliettino con cui la donna lo accusa. Nella sua interrogazione Manconi riassume l’intera vicenda svelando che la Guidetti il 9 marzo viene tenuta in questura dalle 8 del mattino alle 19,30, anche se il verbale risulterebbe aperto alle 12, subito dopo sospeso per la visita a casa, riaperto e chiuso prima delle 18. Scrive Manconi: “Il quadro probatorio veniva ritenuto sufficiente a integrare precise ipotesi di reato tanto che Bonora, assistito da un legale, veniva sottoposto a fermo di polizia mentre la signora Guidetti, con modalità anomala, veniva escussa a sommarie informazioni per un tempo prolungato dal procuratore aggiunto senza che venisse valutata l’opportunità di farla assistere da un legale di sua fiducia”.

L’interrogazione è del 18 marzo. Il 16 a Bologna compaiono scritte di ingiuria contro Giovannini (“Valter il vero criminale sei tu”). E’ di oggi, 22 marzo, la notizia di una telefonata anonima arrivata alla polizia: “Vogliono accoltellare il pm”. Immediata, nei giorni scorsi, era scattata la solidarietà della politica bolognese sindaco in testa che però dimentica l’apparente violazione del diritto alla difesa di una sua concittadina. Stessa cosa farà la Camera penale di Bologna, che solo poche settimane fa aveva attaccato il “protagonismo” della Dna a proposito dell’inchiesta sulla ‘ndrangheta. Stavolta gli avvocati stanno con il magistrato. Il caso, poi, da giudiziario diventa politico con il Pd bolognese che ha preso le distanze dallo stesso Manconi. Il deputato dem Andrea De Maria ha spiegato che l’iniziativa del senatore è stata autonoma e “non condivisa”, il senatore Sergio Lo Giudice ha difeso Manconi e quest’ultimo ha attaccato gli esponenti locali preoccupati di “intrattenere buone relazioni con la Procura” . L’ex segretario bolognese del Pd Raffaele Donini, oggi assessore regionale, gli ha dato del “berlusconiano”.

Giovannini sta in silenzio e incassa la solidarietà. Sentito ieri dal Fatto ha opposto un serrato “no comment”. E mentre è già iniziata la caccia alla “talpa in Questura” che avrebbe svelato a Manconi il tempo di permanenza della Guidetti negli uffici, gli insulti a Giovannini, compreso quello postato su facebook da un ex delle Formazioni Comuniste Combattenti già condannato per banda armata, sono stati inviati alla Procura di Ancona competente per i magistrati di Bologna. “L’audizione” condotta dal procuratore aggiunto viene segnalata senza il supporto di una anche breve istruttoria.

Da Il Fatto Quotidiano del 22 marzo 2015

Aggiornato da Redazione web alle 16 del 22 marzo 2015

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