Il già annunciato accorpamento dei telegiornali in due sole redazioni in cui confluiranno rispettivamente Tg1, Tg2 e Rai Parlamento, da un lato, e Tg3, Rai News 24 e TgR dall’altro, è solo il primo step. Perché l’obiettivo finale del piano industriale che delinea la “Rai al 2017″, approvato il 26 febbraio dal consiglio di amministrazione di viale Mazzini e presentato oggi dal direttore generale uscente Luigi Gubitosi alla commissione parlamentare di Vigilanza, è l’unificazione di tutti i tg sotto un’unica testata giornalistica da cui resterà fuori solo Rai Sport. Ma quel che subito salta all’occhio è che il piano “15 dicembre“, nella nuova versione che recepisce i 17 punti del parere votato dalla commissione il 12 febbraio, garantirà alla tv pubblica risparmi per solo 10 milioni nel primo anno e 70 a regime, cioè dal terzo anno di attuazione. A conti fatti parliamo del 3% dei costi complessivi della Rai. Che, stando al bilancio 2013, ammontano infatti a 2,3 miliardi di euro di cui 1,75 coperti dai cittadini con il canone e 600 che derivano dalla pubblicità.

E non è molto nemmeno se il confronto è con il costo di produzione delle attuali sei testate, che in base alle slide presentate da Gubitosi tocca i 430 milioni di cui 60 di “costi esterni” e il resto per remunerare le risorse interne. Peraltro i tempi per poter iscrivere quei risparmi a bilancio saranno, se tutto va bene, lunghissimi: il dg ha detto che per accorpare le redazioni saranno necessari 42 mesi. A cui ne andranno sommati altri 36 perché i minori costi siano concretamente apprezzabili. Si parla dunque di sei anni e mezzo di tempo: per il giudizio finale sui risultati ottenuti bisognerà aspettare insomma il 2021. Sempre che il piano vada in porto e non resti sulla carta: come rilevato in commissione dal relatore sul progetto di riforma Pino Pisicchio (Pd), l’attuale consiglio di amministrazione di viale Mazzini è in scadenza a maggio. Il che fa sorgere più di un dubbio, secondo il presidente del gruppo Misto della Camera, sull’effettiva possibilità di portare a termine il piano.

I modelli stranieri e l’eliminazione dei “doppioni” – Gubitosi, che alle perplessità ha risposto con una battuta (“se mi succede qualcosa lei si farà una brutta fama”), a sostegno del nuovo modello ha citato gli esempi della Bbc, che “introducendo la newsroom unica ha tagliato i costi del 15%”, della tv pubblica francese Ftv che “di recente ha presentato un progetto di accorpamento, Info 2015, molto simile al nostro”, e della tedesca Ard, che l’anno scorso è passata ” a un nuovo concetto di informazione all news integrata”. Precedenti che lo inducono a valutare di poter non solo ridurre i costi senza fare tagli lineari – “non ne ho mai fatti in aziende che ho diretto e non vorrei iniziare” – ma anche liberare risorse per migliorare la quantità e qualità dell’informazione. Come? Eliminando le duplicazioni, è l’idea di fondo, e incrementando le sinergie produttive. Non è un caso se nel documento inviato ai parlamentari della commissione (a cui è stato poi raccomandato di cancellare l’email e non diffondere i contenuti) compare anche un volantino del sindacato autonomo Snater in cui si chiede “chi paga” per le sei troupe, più un’inviata e un tecnico della radio, mandate a Napoli nel settembre scorso “per seguire la manifestazione dei parenti e amici del 17enne ucciso dopo l’inseguimento con una pattuglia dei carabinieri“: classico esempio di spreco di risorse per coprire un evento di cui l’informazione pubblica avrebbe potuto dar conto con minor dispendio di denaro. Per non parlare delle 13 persone volate a Brisbane nel novembre scorso al seguito del presidente del Consiglio Matteo Renzi, al suo esordio al G20. Per un conto complessivo da 60.500 euro.

Airola: “In Rai troppi precari ricattabili, qualità dell’informazione ne risente” – Sulla possibilità di garantire “contenuti di altissima qualità con tempestività e un incremento di efficienza e copertura“, come si legge nel piano industriale, non sono mancate critiche da parte della commissione: il senatore M5S Alberto Airola ha ricordato che oltre un migliaio di lavoratori (programmisti, registi, scenografi, tecnici, impiegati, montatori) che da anni attendono la stabilizzazione in Rai rischiano ora di essere assunti con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, dunque con meno tutele rispetto ai colleghi. E a loro si aggiunge una platea di centinaia di precari che svolgono prestazioni occasionali e su cui la tv pubblica “fa dumping al ribasso pagandoli anche solo 18 euro l’ora”. Una situazione che, secondo Airola, “alimenta il lavoro nero e va a scapito della qualità dell’informazione, sia dal punto di vista tecnico sia da quello della libertà. Perché si tratta di persone facilmente ricattabili“. A fronte poi del fatto che il cda Rai ha inserito nel piano, su richiesta della Vigilanza, un punto che prevede che sia assicurato “il pluralismo delle voci, espressione della libera manifestazione del pensiero”, l’ex ministro delle Comunicazioni e vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri ha chiesto a Gubitosi se ritenga compatibile con questo obiettivo il progetto del “tg unico“.

Per l’informazione Rai 1.462 giornalisti. E negli ultimi 4 anni share in caduta libera – Il piano dettaglia anche la consistenza delle redazioni delle testate Rai: in tutto i Tg delle tre reti ammiraglie, Rai News 24, Rai Parlamento e i Tg regionali impiegano 1.462 giornalisti e 1.714 tra quadri, impiegati (tra cui i segretari di redazione) e operai. Qualche esempio: il Tg1 si avvale di 152 giornalisti e 207 altre risorse, per un costo di 51 milioni, mentre l’informazione regionale può contare su addirittura 1.753 persone di cui 818 giornalisti. Uscite totali, 179 milioni di euro. Il tutto a fronte di dati di ascolto che dal 2011 a oggi hanno registrato un progressivo declino. Gubitosi ha rivendicato: “Siamo orgogliosi di avere tuttora la maggior share di tutte le altre tv pubbliche europee non solo per le news ma anche per il resto dell’offerta”. Ma guardando le tabelle contenute nel documento 15 dicembre il calo è evidente: se nel 2011 il Tg2 delle 20:30 raccoglieva uno share del 9,97%, nel 2014 la quota è scesa all’8,12. Peggio ancora hanno fatto il Tg 3 delle 19, crollato dal 14,71% al 10,58%, e i Tg regionali della sera, passati dal 15,25 al 12,56% di share. Quanto a Lineanotte, gli ascolti della trasmissione di approfondimento notturno del Tg 3 si sono inabissati: dall’8,54 al 4,97 per cento. Tiene solo la corazzata Tg 1, stabile al 23,7% nell’edizione delle 20.

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