Non più solo proclami confusi, ma fatti. Ora ci sono un piano di fattibilità, una tabella di marcia, un business plan su cui lavorare e per cui chiedere formale impegno finanziario: “Un milione di barili di petrolio”, si ripete come un mantra, da mesi. Nel Salento è tutto pronto. La nascita della fondazione “Università islamica di Lecce” è stata sancita nelle scorse ore, con la firma dell’atto notarile. Per il primo ateneo italiano di ispirazione musulmana, la macchina è in moto ed è pronta a correre.

“Busseremo alle porte dei Paesi dell’Opec e dell’Aaoifi, l’associazione internazionale indipendente che raggruppa società private, istituzioni, banche centrali arabe. Finora abbiamo avuto solo incontri informali. Mi dicevano: ‘Non te la fanno fare a Lecce una cosa così!’. Adesso, abbiamo tutte le carte in regola perché il progetto venga da loro accolto a braccia aperte”. Ne è convinto Giampiero Khaled Paladini, imprenditore salentino convertitosi all’Islam e a capo di Confime, il Consorzio imprese del Mediterraneo che finora ha fatto da testa d’ariete. “Tra gli ispiratori di questa avventura c’è Vittorio Sgarbi – racconta – perché l’idea è nata quando mi ha voluto come suo consulente mentre era sindaco a Salemi. La nostra università non è qualcosa di avulso, ma sta a pieno titolo dentro la storia del Meridione. E, in questo momento, la cultura è l’unica arma che abbiamo per arginare la deriva di un terrorismo fanatico alle porte”.

Per quanto riguarda la didattica, le materie previste vanno da teologia ad agraria e l’obiettivo è quello di partire a settembre prossimo. “Non sarà una università coranica, ma di diritto italiano, scientifica, di ispirazione islamica, sul modello di ciò che è, in parallelo, la Cattolica”. Libera, insomma. E privata, destinata ad accogliere 5mila studenti. Partner privilegiato, stando a quanto annunciato, è l’Università al-Azhar del Cairo, uno dei più importanti centri d’insegnamento religioso per i sunniti, “fondata nel X secolo da Jawhar al-Siqillī, un siciliano”.

L’offerta formativa è stilata da un comitato scientifico misto: sei docenti italiani non musulmani, quattro tornati all’Islam, cinque provenienti da atenei islamici esteri e tre esperti del mondo dell’impresa e ambientalista. Si parte a settembre, con il corso di teologia, facoltà per cui non è necessario l’accreditamento da parte del Miur. Nel gennaio 2016, si avvieranno due master: uno in Diritto economia e finanza islamica, “organizzato assieme a centri bancari del Barhain”; l’altro in Scienze delle costruzioni, “sostenuto da grandi compagnie finanziarie arabe”. Nell’ottobre 2017, se il Ministero avrà concesso il via libera, inizieranno i corsi di laurea veri e propri: uno in Scienze umanistiche e l’altro in Scienze agrarie e ambientali. Se quest’ultimo verrà nel frattempo istituito presso l’Università del Salento, si lascerà il passo, optando, invece, per la facoltà di Medicina, a partire dall’autunno 2018.

College, campus e moschea, il problema restano gli spazi. Tramonta l’ipotesi di riconvertire l’immensa ex manifattura tabacchi: acquisto sfumato ad un passo dalla firma e barricate già annunciate dal Comune di Lecce. “Il sindaco Paolo Perrone non ha voluto incontrarmi – spiega Paladini – ma se la trattativa non è andata in porto è perché non permetteremo a nessuno di mettere cappelli e cappellini su quanto faremo”. Dunque, si vira altrove: un terreno di fronte al campus pubblico esistente, Ecotekne, in un’area già destinata a servizi universitari da parte del vicino Comune di Monteroni. “Così non ci sarà bisogno di modifiche agli strumenti urbanistici né di lunghe conferenze di servizi. Il cantiere può partire già fra un anno”. Il progetto è stato redatto dagli ingegneri Luca Sperti e Giuseppe Capraro e dall’architetto Federico Negro, per conto di Confime: “una struttura aperta – spiegano i tecnici – e non un ghetto, contornata da giardini pensili e orti sociali”. Aule, biblioteche, laboratori, uffici saranno un girotondo attorno al fulcro centrale, la moschea, “in pietra leccese e di pianta ottagonale, sul modello di Castel Del Monte, perché chi lo ha voluto, Federico II, fu ponte tra le due civiltà”.

L’investimento di base ammonta a 45 milioni di euro, a cui vanno aggiunti costi di gestione annuali di almeno 35 milioni di euro. Gli Stati aderenti all’Opec e la rete cucita dall’Aaoifi sono la sponda più prossima. “Per la prima volta – annuncia Paladini – il petrolio servirà a finanziare la pace e non la guerra. Lo hanno capito bene gli arabi, ma anche molti italiani. Da aprile, sarò in missione nei Paesi del Golfo Persico, per incontrare i rappresentanti dei governi e organizzazioni private, che lì spesso sono legate al pubblico. Per loro la somma è irrisoria, basterebbe una donazione all’anno di una nave da 120mila tonnellate di greggio. Nessuno si scandalizzi, sono gli stessi soldi di Milano”.

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