A Davos, il nostro Ministero per lo Sviluppo Economico ha presentato in anteprima uno spottone firmato da Leo Burnett per il rilancio del Made in Italy e di tutta la nostra immagine. Impianto di ottima fattura, “vecchia scuola” si direbbe, quella dei tempi d’oro della pubblicità. Il meccanismo retorico è collaudatissimo e funziona sempre: si inquadra un dettaglio cogliendo solo una parte di un contesto (in questo caso un luogo comune, di quelli che ormai ci portiamo tatuati addosso da un pezzo) e poi si allarga il campo fino a scoprire che quel dettaglio era parte di un quadro molto diverso che smentisce totalmente la prima impressione. L’invito è quello di non fermarsi ai luoghi comuni sull’Italia ma di andare oltre, di scoprire quanta eccellenza abbia da vendere. Lo slogan, anch’esso di ottima fattura, chiude al meglio lo spot: “Italy. The Extraordinary Commonplace”.

Così, si lascia intendere che i pochi settori mostrati siano solo una parte di un Paese a qualità totale. Come dire, “Per non parlare di tutto il resto!”. I settori in cui invece facciamo decisamente schifo sono molti ma molti di più. Ci vuol altro a levarci di dosso l’immagine già pessima che abbiamo guadagnato nel tempo, ulteriormente fissata da vent’anni di berlusconismo e non del tutto smentita dal governo Renzi che non è capace di andare oltre i compromessi con Berlusconi. Quell’immagine possiamo togliercela solo con i fatti. Ma devono essere molti, molti di più di quelli elencati nello spot. Non è certo con una preterizione (da “praeterire”, “andare oltre”, figura retorica che scorrettamente attribuisce lo stesso valore di ciò che si afferma anche a ciò che si omette) che riusciremo a far credere che tutto il resto sia altrettanto eccellente.

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