L’appuntamento è sotto casa. Da qui il viaggio in auto verso il bosco dove lo attendono altri quattro uomini. Pochi secondi per capire e tutto crolla. Salta fuori una pistola. Poi il coltello. Partono i fendenti. Almeno trenta. Non sono mortali, ma portati per far soffrire. Il sangue inizia a uscire. La vista si appanna. La morte è a un passo. Steso a terra, il corpo viene ricoperto con le foglie. Il respiro rallenta. La “batteria” dei killer riparte. Si torna a casa. L’appuntamento è fissato per il giorno dopo in un cantiere dove sta sorgendo una villetta. C’è chi porta il vino, chi le braciole. Una bella grigliata è quello che ci vuole. E mentre qualcuno festeggia, altri scavano una buca profonda oltre due metri. Poi il sole cala. Si sale in auto e si torna a recuperare il corpo. Appena mezz’ora e la macchina rientra nel cantiere. La buca è pronta. Sul fondo è già stato gettato uno strato di calce. La vittima viene spogliata, i vestiti bruciati, il corpo gettato nella fossa, ricoperto di calce e poi di terra. E’ il 9 giugno scorso. Ecco come uccide la ‘ndrangheta. Non in Calabria, ma nella Lombardia che corre dritta verso l’Expo, nella zona della bassa comasca dove le cosche, appena sfiorate dal maxi-blitz Infinito del 2010, agiscono alla luce del sole, mostrando armi e muscoli, intimidendo e uccidendo.

Non in Calabria, ma nella Lombardia che corre dritta verso l’Expo

Come successo a Ernesto Albanese, 33enne di Polistena, pregiudicato e trafficante di droga per conto dei clan locali. Albanese scompare dopo le 23 dell’8 giugno scorso. Fino a quell’ora è stato nella sua casa di Bulgorello di Cadorago. Seduto al computer, chattando su Facebook e inviando minacce ai “compari”. Albanese dice di voler fare tutti i nomi “da qui fino a Reggio Calabria”, sostiene che i mafiosi che vivono tra Cadorago, Fino Mornasco e Appiano Gentile sono semplici “quaquaraquà”. Qualcuno di questi risponde: “Uomo senza labbra ti aspetto a braccia aperte”. Per questo, ragionano gli investigatori della squadra Mobile di Como, Albanese viene sequestrato, scannato, lasciato morire dissanguato nei boschi dietro al comune di Guanzate e il corpo seppellito il giorno dopo nel cantiere di via Patrioti sempre a Guanzate (foto di Mattia Vacca).

Le scene dell’orrore mafioso sono state ricostruite dai magistrati della procura di Como. Sul registro degli indagati ci sono sei persone che attualmente si trovano in carcere per altri motivi. Alcune di loro sono state arrestate nel luglio scorso dal Ros di Milano che ha eseguito diverse ordinanze a carico di cinque gruppi di narcos legati al crimine organizzato. Negli ordini di cattura richiesti dal pm Marcello Musso c’era anche Ernesto Albanese. I militari, però, non lo hanno trovato. In quel momento l’uomo era già sotto terra.

Le scene dell’orrore mafioso sono state ricostruite dai magistrati della procura di Como

Bisogna aspettare il 2 settembre scorso perché “una soffiata” conduca la polizia nel cantiere di Guanzate. Le operazioni per estrarre il corpo di Albanese durano due giorni. Oltre alla scientifica ci sono anche esperti di scavi archelogici. Si studiano gli strati del terreno e, grazie a particolari tecnologie, viene ricostruito il calco delle benna che ha fatto la buca. E’ la svolta del giallo. Sì perché quel calco corrisponde a una ruspa trovata nella villetta del pregiudicato calabrese Luciano Nocera. Quello, secondo la polizia, è il mezzo che ha scavato la fossa per Albanese.

La scoperta alza il velo sul contesto criminale. Nocera viene arrestato dal Ros di Milano nel luglio scorso. E’ accusato di coordinare una “batteria” di trafficanti legati al clan Muscatello di Mariano Comense e alla famiglia Iconis di Fino Mornasco, coinvolta, negli anni Novanta, nell’operazione La notte dei fiori di San Vito e ritenuta vicina alla potente famiglia Mazzaferro. Secondo l’indagine milanese Ernesto Albanese era un corriere. Dalle carte di quell’operazione emergono i suoi contatti con Nocera. Rapporti che col tempo s’incrinano. “Quello – dirà Nocera di Albanese – è un pezzo di merda e questa mattina l’ho preso a calci nel culo”. Di più: un’altra indagine della Dda di Milano, su cui pende richiesta di archiviazione, descrive Nocera come personaggio molto vicino alla ‘ndrangheta di Fino Mornasco, capace di intavolare rapporti con la politica locale, ma anche violento e senza scrupoli. “Il primo che piglierò a fucilate – dice al telefono – sarà il comandante dei carabinieri”. Insomma l’omicidio di Albanese è solo la punta dell’ice-berg di un contesto mafioso per nulla intaccato dalle inchieste.

da Il Fatto Quotidiano del 26 ottobre 2014

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